Ci crediamo ancora? Voglio dire, ci crediamo ancora nella lotta contro il cambiamento climatico?
Damian Carrington, un giornalista del «Guardian», di recente ha chiesto, a centinaia di membri del Gruppo intergovernativo di esperti sul tema, come valutassero la situazione e la risposta è stata concorde: «Viviamo in un’epoca di pazzi». La maggior parte si sono definiti «distrutti», «infuriati», «spaventati» nel vedere come i risultati delle loro ricerche non siano presi sul serio. Tra gli esperti, il pessimismo è diffuso: solo il 6% pensa che sia raggiungibile l’obiettivo ufficiale dei negoziati globali sul clima, ovvero mantenere l’aumento della temperatura entro 1,5°C. Quasi l’80% degli intervistati ritiene più realistico un aumento di 2,5-3°C sopra i livelli preindustriali e mette in conto carestie, conflitti e migrazioni di massa, specie nel sud del mondo. Pochi credono che la mancanza di finanziamenti sia un problema; piuttosto puntano il dito contro la lobby dei combustibili fossili, la disinformazione e soprattutto (75%) la debole volontà dei politici.
David Gelles sul «New York Times» offre un quadro più sfumato, con luci e ombre. Se da una parte le emissioni sono ancora in aumento (!) e gli effetti del cambiamento climatico si stanno aggravando, dall’altra è anche vero che le energie rinnovabili stanno progredendo molto rapidamente; lo scorso anno il 30% dell’elettricità è stato generato da queste fonti. Di certo, conclude Gelles, dovremmo preoccuparci e impegnarci di più. E ovviamente, aggiungiamo noi, dovremmo farlo anche come turisti e viaggiatori.
Nonostante il suo aspetto leggero e svagato, il turismo ha un impatto pesante sul clima. Con 45 arrivi internazionali ogni secondo, il turismo è responsabile del 5% delle emissioni di gas serra globali, soprattutto a causa dei mezzi di trasporto (oltre naturalmente al consumo di energia, di acqua e alla produzione di rifiuti).
Un recente sondaggio su larga scala del popolare sito di prenotazioni online Booking.com sembra mostrare un allentarsi della tensione e una certa disillusione tra i viaggiatori. Certo, tre quarti degli intervistati credono ancora che viaggiare responsabilmente sia importante e si ripromettono di farlo nel prossimo anno. E quando viaggiano in forme sostenibili (a piedi, in bicicletta, acquistando in piccoli negozi locali eccetera) la maggior parte dei viaggiatori ha una migliore immagine di sé e un rapporto più empatico coi luoghi visitati. Inoltre, trae da questi viaggi l’ispirazione ad agire in modo simile anche nella vita di tutti i giorni.
Solo un quarto è stanco di sentir parlare di cambiamenti climatici e non crede agli argomenti degli scienziati. Semmai c’è una diffusa sensazione che le proprie scelte individuali siano irrilevanti e si tende a dimenticare la questione quando si pianifica o prenota un viaggio. Dipende in parte dalla natura stessa delle vacanze, un tempo sospeso e per definizione slegato dagli assilli quotidiani. Ma questa comprensibile e naturale inclinazione è parecchio rafforzata dalla sensazione che imprenditori turistici e destinazioni non stiano facendo abbastanza.
Oltre un terzo degli intervistati si chiede che senso abbia viaggiare in modo più sostenibile in destinazioni che non condividono la stessa preoccupazione. E quasi metà rivolge critiche simili a Tour Operator e altri intermediari. Soprattutto niente Green Washing, ovvero un ecologismo solo di facciata. Proprio Booking, in seguito a pressioni degli organi di controllo, ha soppresso una (generosa?) certificazione interna di sostenibilità attribuita alle strutture aderenti, affidandola invece a enti terzi.
Anche l’Unione europea ha avviato un’indagine su venti compagnie aeree, ipotizzando che molte delle politiche ambientali pubblicizzate (compensazione della CO2 emessa attraverso investimenti in progetti ambientali o l’utilizzo di carburanti speciali) non siano basate su evidenze scientifiche o diano l’impressione (errata) che si possa volare senza inquinare, semplicemente pagando una quota aggiuntiva.
Il contenimento del cambiamento climatico insomma richiede sia un comportamento individuale più attento (viaggiare meno, meglio, più a lungo) sia un ruolo decisivo di governi, imprenditori e destinazioni. Richiede soprattutto azioni concrete, una comunicazione trasparente, impegno, onestà.