I membri ultraortodossi dell’associazione Zaka intervengono in caso di morti violentein territorio israeliano. Il senso del loro operato e il loro ruolo all’interno di una società in profonda crisi
Già prima dei massacri del 7 ottobre, insieme a quella delle cinture di esplosivo dei kamikaze, una delle icone che gli spettatori di tutto il mondo associavano alle tragiche immagini delle morti violente in territorio israeliano è quella dei membri ultraortodossi dell’associazione Zaka. Con indosso il giubbottino giallo, accomunati da barba e cernecchi, i circa 3000 volontari dell’organizzazione sono infatti tra i primi a giungere sul luogo delle esplosioni a bordo delle loro motociclette dal 1995, anno in cui è stata fondata Zaka, acronimo ebraico di «identificazione delle vittime del disastro».
Quello di onorare la morte è uno dei precetti fondamentali dell’ebraismo al quale la tradizione attribuisce grande importanza proprio perché si tratta di un atto di generosità fine a se stesso e senza alcun possibile tornaconto, dal momento che il defunto non potrà ovviamente ricambiare il gesto. È così che dalla Seconda Intifada Zaka è diventata una vera e propria istituzione che si è conquistata un posto d’onore, anche nella letteratura e nel cinema, a fianco delle unità di emergenza e delle forze dell’ordine. Il loro compito è quello di ricomporre i cadaveri e prepararli per una degna sepoltura secondo le rigorose norme rituali. Ma l’ingresso nell’arena di questa sorta di casta autonoma, che gode di rispetto e consenso, è denso di significati di natura sociale e teologica che gettano ulteriore luce tanto sul conflitto israelo-palestinese e la resistenza armata, quanto sui complessi rapporti tra gli ultraortodossi e il resto della società ebraica.
Gideon Aran, professore emerito di sociologia e antropologia all’Università ebraica di Gerusalemme è uno dei maggiori esperti di Zaka, allo studio della quale ha dedicato anche il suo ultimo libro intitolato The cult of dismembered limbs (Oxford University Presa 2023), in italiano Il culto degli arti smembrati. Secondo Aran, attraverso il loro operato a contatto con il sangue delle vittime, i membri di Zaka intenderebbero conferire al disumano una dimensione di sacralità che richiama quella delle mansioni sacerdotali intorno ai sacrifici all’epoca del Santuario. Accanto agli aspetti teologici e mistici connessi al culto del sangue e della morte, Aran spiega inoltre come le scrupolose procedure di Zaka, rispetto alla raccolta e ricomposizione di resti umani, abbiano contagiato l’esercito e penetrato la società divenendo parte dell’ethos nazionale al punto da venir sfruttate anche dai nemici di Israele quale merce di scambio nelle trattative.
Infine potremmo dire che sino ad oggi, proprio il contributo di Zaka alla società allargata ha fornito una sorta di alibi agli ultraortodossi rispetto alla tanto contestata esenzione dal servizio di leva obbligatoria di cui godono da decenni con la protezione dei Governi di turno. Tuttavia le cose potrebbero cambiare dopo che, con un’Ordinanza provvisoria, la Corte suprema israeliana ha stabilito che da lunedì primo aprile Israele cessa di finanziare lo studio presso le Accademie talmudiche per gli studenti di età compresa tra i 18 e i 26 anni, ovvero eleggibili per la leva. Si tratta di una decisione drammatica che sconvolge uno status quo che, tra le altre cose, ha garantito sino ad ora al Governo Netanyahu l’appoggio dei partiti ultraortodossi attualmente furibondi per essere caduti in una trappola tesa dai giudici liberali nella speranza di far cadere il Governo più disgraziato della storia del Paese.
Benché non vengano ancora presi provvedimenti effettivi contro chi non risponde all’invito della cartolina, i rabbini più conservatori gridano allo scandalo. La società ultraortodossa, in particolare quella ashkenazita di traduzione lituana, continua infatti a vedere nello studio della Torà l’unica occupazione degna per gli uomini e fonte di garanzia dell’incolumità dell’intero popolo ebraico. I giochi non sono affatto conclusi, ma dal 7 ottobre molti degli equilibri che hanno caratterizzato la società ebraica israeliana negli scorsi decenni sembrano destinati a modificarsi se il Paese vuole superare la tremenda crisi che sta attraversando.