La lezione di Kate Middleton

by Claudia

Nel rivelare la sua malattia la principessa ha riportato ordine e umanità nel discorso pubblico, in Rete

Come l’imperatrice malata del regno di Fantasia ne La storia infinita, Catherine Middleton ha lanciato un autorevole appello a combattere l’avanzata del Nulla, che nel nostro mondo ha le sembianze dello sguaiato spettacolo che i social network danno ogni giorno e che, secondo alcuni esperti, nel caso della principessa del Galles hanno seguito l’imput nefasto di disturbatori vicini al Cremlino, gente che di professione cerca di seminare confusione, discordia, destabilizzazione nella società. Ha chiesto rispetto, umanità e li ha ottenuti, si spera, in modo durevole, dopo settimane in cui tutto sembrava andare alla deriva.

Volto sofferente e sempre bellissimo, panchina di legno e prato fiorito, maglia a righe, tono lucido, autorevole e caldo e quindi per forza anche materno, regale: sto male, mi sto curando, devo pensare alla mia famiglia, grazie per la premura ma ho bisogno di spazio come tutti i malati. E a tutti i malati voglio dire che non siete soli e che non bisogna perdere la speranza, mai. In un momento difficile come l’annuncio pubblico (e forzato) di una malattia spinosa, ha parlato da vera regina, Catherine Middleton, facendo del personale qualcosa di molto, molto universale. Si è guadagnata la simpatia di tutti e, si spera, il rispetto di un mondo che era andato in panico per la sua assenza e che non le aveva perdonato di essersi sottratta senza preavviso allo sguardo pubblico che da quasi vent’anni la accompagna in ogni momento di una vita che, fino poco tempo fa, aveva il sapore di una favola.

Lontana da ogni vittimismo, decisa a non suscitare pietà, Kate ha parlato come la regina Elisabetta quando, ai tempi della morte di Diana, si convinse a fatica che il silenzio non funzionava più, che il Regno Unito e il mondo interno erano davanti a uno «spaesamento» e che lei, con la sua funzione di più simbolica dei leader, doveva guidare la reazione pubblica davanti un dolore enorme, aiutare a contenere l’emotività della gente. La principessa del Galles ha fatto un passo in più: si è mostrata talmente al di sopra delle cose da «far vergognare» la Rete, come hanno commentato in tanti, e riportare un po’ di ordine nelle derive violente della vita pubblica. Non solo, ha tirato una riga netta tra quello che è pubblico e quello che è privato, certo, ma ha fatto qualcosa di più grande. Ha illuminato di una chiarezza nuova quella zona d’ombra che è la malattia, il «lato notturno della vita» come lo chiamava Susan Sontag, ancora avvolto da una serie incredibile di pregiudizi e di superstizioni, da uno stigma sociale che però, nel momento in cui la popolazione invecchia e per qualche ragione ancora oscura agli scienziati stessi le diagnosi sui giovani sono in aumento, sta diventando ancora più insostenibile che in passato. Il cancro esiste, si cura sempre meglio, non bisogna nasconderlo né viverlo come una condanna, e in questo la principessa di Galles, votata alle campagne simboliche come tutti i membri di una Royal Family senza più potere politico, ha segnato una pagina di storia della comunicazione della malattia, parlando alla luce del sole prima di uscire temporaneamente di scena.

Il suo coraggio è stato davvero esemplare – ce ne vuole per non emozionarsi, per mostrarsi curata ma diversa dal solito – guardando il mondo negli occhi e pronunciando parole prive di qualunque ambiguità per raccontare al mondo quello su cui il mondo ha fantasticato in maniera spesso selvaggia da gennaio in poi: l’operazione all’addome è andata bene di per sé, ma ha portato alla scoperta che il problema è anche oncologico e che ci vuole una chemioterapia preventiva. Niente corna, divorzi, misteri insondabili, ma solo la difficile verità di cure che possono rendere un po’ irriconoscibili anche le persone molto famose e di una notizia che va data con cautela a tre bambini ancora piccoli come George, Charlotte e Louis. Con tutto il patrimonio di «coolness» che la sua bellezza e aura di perfezione le danno, Kate ha fatto molto anche contro le stanche metafore di battaglia e guerra che vengono usate per chi affronta le cure per il tumore e, chissà perché, molto meno spesso per chi ha altre malattie: sono offensive, alludono a un’intollerabile gerarchia tra vincitori e perdenti e mettono una pressione assurda su chi soffre, aggiungendo sensi di colpa al dolore.

Certo, che una quarantaduenne molto in forma e probabilmente salutista si sia ammalata è una notizia devastante per il morale del Regno Unito e di tutto il mondo. Anche perché ha qualcosa di tragicamente in linea con i tempi. L’osservazione empirica – ma è possibile che così tante persone giovani si stiano ammalando? – sta trovando riscontro nelle statistiche preoccupanti che dicono che effettivamente è così e che le ragioni non sono ancora chiare ma hanno origine qualche decennio fa. È qualcosa con cui fare i conti anche a livello di discorso pubblico. Anche re Carlo ha già iniziato la sua, di chemioterapia, e pur continuando a seguire l’ordinaria amministrazione ha dovuto rinunciare agli impegni pubblici che ha aspettato per una vita per svolgere: farsi vedere in pubblico in questo momento sarebbe sconsigliabile, almeno secondo i dettami classici dell’iconografia reale. La lezione di Elisabetta – «devo essere vista per essere creduta», frase ripetuta fino alla nausea in questo periodo – è una strategia momentaneamente indisponibile, che si può sostituire solo con una trasparenza sufficiente da mettere a tacere le curiosità. Quello che si perde con l’assenza si guadagna però mostrandosi compassionevoli, partecipi, presenti nella realtà delle famiglie, della gente normale. Per Pasqua re Carlo ha mandato una «preghiera speciale» e ha ribadito di voler essere al servizio del Paese «con tutto il cuore». Nei giorni scorsi aveva mandato un messaggio toccante per elogiare Kate, la sua «adorata nuora», per il suo coraggio «nel parlare come ha parlato».

L’annuncio: sto male, mi sto curando, devo pensare alla mia famiglia. (Keystone)

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