Un’accozzaglia di pregiudicati al Governo

by Claudia

Triste lo scenario dopo le elezioni parlamentari in Pakistan, Paese che resta una bomba a orologeria sullo scacchiere mondiale

L’unica verità è che si è trattato dell’elezione più truccata della storia del Pakistan. Anzi, dicono a Islamabad e dintorni, più che un’elezione è stata una «selezione». E non è venuta nemmeno tanto bene perché, a sorpresa, il verdetto uscito dalle urne non è stato perfettamente allineato alle direttive dei «selezionatori», cioè dell’esercito. Ricapitolando: lo scorso 8 febbraio si sono svolte le sospirate elezioni nazionali dopo che, quasi due anni fa, era stato sfiduciato il Governo dell’ex premier Imran Khan. Che al momento si trova in galera, con tre condanne di primo grado per corruzione, per aver rivelato segreti di Stato e per aver celebrato le sue terze nozze prima del tempo stabilito dalla Sharia (la legge islamica). Imran è stato interdetto per dieci anni dai pubblici uffici, e al suo partito è stato vietato, con una scusa, l’uso del tradizionale simbolo elettorale. Per questo, e perché i membri del partito di Imran sono stati in ogni modo osteggiati e minacciati, molti seguaci dell’ex premier si sono candidati come indipendenti. Intanto ritornava trionfalmente in patria il tre volte ex premier Nawaz Sharif dopo un lungo esilio a Londra, dove si era recato per «ragioni di salute» sfuggendo a sua volta a un soggiorno nelle patrie galere e all’interdizione dai pubblici uffici che è stata revocata poco prima del suo ritorno.

In Pakistan arrivavano anche più di duecento osservatori internazionali incaricati di monitorare lo svolgimento della tornata elettorale. Che si svolgeva, come sempre accade in Pakistan, in un clima «civile, democratico e disteso»: l’esercito spiegato in forze a ogni angolo di strada, la rete dei telefoni cellulari silenziata, Internet messo a tacere. Ai giornalisti veniva impedito di entrare nei seggi elettorali, alcuni membri delle commissioni elettorali hanno denunciato la presenza di «camere di tortura» all’interno dei seggi. Che però davano, nonostante tutto, un risultato sorprendente: a vincere in modo più o meno clamoroso sono stati, difatti, i candidati indipendenti. Nonostante le schede gettate nella notte dentro i secchi dell’immondizia, nonostante le falsificazioni e nonostante risultati come quello ottenuto da Sharif: Nawaz vinceva difatti a Lahore con una schiacciante maggioranza, ottenendo 240’000 voti in un seggio dove a votare sono stati in 239’000. Qualche ora dopo, e senza che i conteggi fossero terminati, l’ex-premier proclamava la vittoria del suo partito, accettando implicitamente di formare il prossimo Governo. Ora, tecnicamente è vero che il partito di Sharif ha ottenuto il maggior numero di voti, anche se non sono sufficienti a formare un Governo. È vero anche, però, che a vincere di fatto sono stati i candidati indipendenti, la cui maggioranza fa capo al partito di Khan: gli indipendenti, per legge, non possono formare un Governo, ma Imran dalla galera canta vittoria e nomina un suo candidato premier. Intanto, due giorni dopo le elezioni, Sharif si alleava con il Pakistan People’s Party (PPP) di Asif Zardari (ex-presidente del Pakistan) e di Bilawal Bhutto Zardari: rispettivamente marito e figlio della defunta Benazir, diventata un’eroina popolare dopo essere stata ammazzata da «ignoti» nel 2007 durante il suo trionfale rientro in Pakistan dopo un lungo esilio.

Il nuovo Governo dovrebbe essere così composto: la poltrona di primo ministro va non a Nawaz ma a suo fratello Shahbaz, che ha governato il Paese dopo la sfiducia a Imran Khan. Alla figlia di Nawaz, Maryam, andrebbe la poltrona di chief minister dello Stato-chiave del Punjab occupata fino a questo momento da Humza, figlio di Shahbaz. Asif Ali Zardari dovrebbe diventare, per la seconda volta, presidente della Repubblica islamica mentre suo figlio Bilawal, forse perché è l’unico a non essere mai stato in galera, rimane col cerino in mano e semplicemente a capo del PPP. Il nuovo Governo di coalizione, che dovrebbe nelle dichiarazioni dei suoi componenti salvare il Pakistan dalla bancarotta e dall’isolamento internazionale, è in realtà una grandiosa accozzaglia di pregiudicati. Zardari, meglio noto come Mr. Ten per cent dall’ammontare della tangente che pretendeva per ogni transazione che transitava nei suoi uffici, prima di diventare presidente è stato accusato di omicidio, corruzione, traffico di droga, riciclaggio e ricatto. Nawaz è stato accusato di tradimento, corruzione, concussione e traffico di valuta ma ciò non gli ha impedito di diventare, tra un soggiorno in galera e l’altro, tre volte primo ministro. Shahbaz è stato anche lui in galera e accusato di corruzione e reati finanziari assortiti. I «giovani» Sharif, Maryam e Humza seguono le orme paterne sia in fatto di prigione che di politica. I giudici hanno appena rigettato tutte le istanze ricevute per schede e risultati elettorali truccati, gli osservatori internazionali timidamente dichiarano che bisognerebbe invece indagare sulle accuse di frode elettorale. E intanto, mentre si attendono dichiarazioni ufficiali, una sola cosa è certa: ancora una volta il Pakistan batte Netflix uno a zero.

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