«Non voglio fare la doccia!»

by Claudia
26 Febbraio 2024

Lavarsi dopo la lezione di educazione fisica può diventare motivo di tensione e ansia per alcuni allievi.Le posizioni delle autorità scolastiche e di Giacomo Nobile, presidente dell’Associazione pediatri della Svizzera italiana

Il giovedì Liam non vuole andare a scuola. Mai. «È un giorno terribile», dice ai genitori. Spesso il bambino – in terza elementare – lamenta mal di testa o mal di pancia inesistenti. È una lotta convincerlo a mettersi lo zaino in spalla e salire sull’autobus. Il motivo? La lezione «lunga» di ginnastica, dopo la quale è prevista la doccia in comune. Anche Andrea, che ha qualche anno in più, non ama la lezione di educazione fisica. «Non mi piace stare senza vestiti davanti agli altri», racconta. «Non è carino, specie a quegli altri che dicono cose e ridono». Senza contare l’esperienza di Licia: incursioni dei «maschi» negli spogliatoi delle «femmine» (e viceversa) che mettono a disagio.

Insomma, un momento che molti vivono in maniera naturale, senza pensieri, può diventare motivo di tensione e ansia per altri. Perché non sempre il confronto con i compagni è facile (specialmente se non è mediato da social e filtri vari). Perché non siamo tutti uguali. Chi scrive ritiene necessario tenere conto delle diverse sensibilità, rispettarle. Prestare attenzione al disagio di ognuno cercando delle soluzioni ad hoc. Ma cosa succede negli istituti del Cantone? Qual è la posizione delle autorità scolastiche?

«In Ticino leggi e regolamenti scolastici non menzionano né l’obbligo né il divieto della doccia dopo le ore di educazione fisica, tantomeno prescrivono nei dettagli come sia opportuno lavarsi». A dirlo è Alejandro Arigoni, coordinatore del gruppo degli esperti di educazione fisica delle scuole dell’obbligo. «Il Piano di studio in vigore intende comunque favorire un’educazione che porti bambine e bambini a prendersi cura, tra le altre cose, dell’igiene personale. La sana abitudine di lavarsi dopo lo sport va inserita in questo contesto e dovrebbe essere trasmessa anche in famiglia o nell’ambito di attività svolte nel tempo libero». Il rispetto delle sensibilità individuali resta fondamentale, sottolinea il nostro interlocutore: «Le docenti o i docenti di educazione fisica possono dunque consentire, a chi lo desidera, di indossare un costume da bagno o di anticipare/posticipare il momento della doccia per garantire una maggiore intimità. Nessuno può essere obbligato a spogliarsi davanti ad altre persone se questo causa disagio». Per Arigoni questi accorgimenti vanno però considerati come soluzioni temporanee e affiancate a un progetto educativo «che consenta con il passare del tempo di superare queste difficoltà e i possibili commenti insensibili».

Nel corso dello sviluppo – continua il nostro interlocutore – possono insorgere questioni di confronto tra pari e di accettazione di sé, della propria fisicità. «Ma il corpo non è qualcosa di cui vergognarsi. È importante che scuola e famiglia promuovano un’educazione all’igiene, all’affettività e all’accettazione di sé. Che siano concordi nell’affrontare gli eventuali problemi trovando soluzioni, piuttosto che cercando di evitarli, come ad esempio ricorrendo alla dispensa dalla doccia dopo la ginnastica».

Dal canto suo il presidente dell’Associazione pediatri della Svizzera italiana, Giacomo Nobile, sottolinea l’importanza di non forzare i tempi: «Nel momento in cui un bambino, o un ragazzo, si trova a dover mostrare il proprio corpo nudo agli altri possono nascere timori e pudori che vanno considerati e accolti, non imponendo nulla e soprattutto rispettando la tempistica del bambino. C’è chi impiega più tempo a sentirsi bene nella propria pelle…». In ogni caso è necessario interrogarsi sul motivo del disagio, dice l’esperto. A volte l’origine del problema sta nel gruppo (commenti scherzosi, bullismo ecc.), altre nel contesto famigliare. Sono molti gli aspetti da considerare: ad esempio la questione dell’autostima, le motivazioni culturali o religiose.

«Un buon rapporto con il proprio corpo e con l’immagine di sé comincia da subito, dai primi anni di vita», aggiunge Nobile. «Nell’ambito famigliare il bambino impara a conoscersi dapprima coccolato e accudito dai genitori poi giocando, facendo i capricci, copiando atteggiamenti e comportamenti di mamma e papà, sfogandosi al parco giochi, sbucciandosi un ginocchio. Riceve complimenti e osservazioni che (si spera) ne aumentano l’autostima ma anche indicazioni – i limiti – che lo educano. Il bambino impara nel tempo a gestire in modo sano il proprio corpo e ad accettarsi così come è, superando le prime frustrazioni che possono insorgere. È un percorso certo mai banale, ben conosciuto da tutti i genitori. Con una bella e sana immagine di sé sarà poi più facile confrontare la propria fisicità con i coetanei e vivere la doccia dopo l’attività fisica con serenità».