Ritratto del compositore polacco dalla scrittura raffinata e complessa ma anche diretta
Se c’è compositore contemporaneo che può essere tranquillamente ospitato in festival dai percorsi precostituiti, e che, disposto alle aperture, non intenda correre il rischio di tradire oltre misura le aspettative del proprio pubblico, questi è Witold Lutoslawski.
La sua orchestra è il normale grande complesso, vanto delle società filarmoniche, tutt’ora insuperato come estesa tavolozza di colori che sono alla base del suo linguaggio
Il compositore polacco (1913-1994), pur appartenendo a una generazione precedente quella dei protagonisti della rinascita musicale del dopoguerra, negli anni Cinquanta ne è diventato il compagno di strada, accostandosi a Boulez, a Nono, a Penderecki, ecc. nello sviluppo del linguaggio seriale e postseriale.
Tutte le tecniche di scrittura più avanzate (fino all’estrema possibilità dei procedimenti aleatori) sono state da lui via via adottate e integrate. L’ascolto di un’opera sua qualsiasi non ci lascia però mai l’impressione di trovarci di fronte a un compositore di avanguardia, nel senso di un artista che affida il senso delle sue scelte alla radicalità del confronto con le attese del pubblico. La sua musica al contrario raggiunge direttamente l’ascoltatore, sollecitandolo a livello di quella che è la sua disposizione consuetudinaria all’ascolto.
Per quanto raffinata e complessa, la sua scrittura esclude la possibilità di una lettura tra le righe, alla ricerca di motivazioni nascoste o di una dimensione dialetticamente aperta alla messa in discussione della configurazione del prodotto artistico. Egli è cioè musicista esplicito, un compositore che ha sì accettato di sposare la causa della «nuova musica» intesa come espressione impegnata a incarnare la più rigorosa fenomenologia sonora, ma che ne utilizza il risultato a scopo illusionistico, incantatorio.
L’orchestra è diventata quindi il suo campo d’azione privilegiato, il laboratorio della sua ricerca, non per essere rivoluzionata e stravolta nelle sue gerarchie, ma appunto per essere confermata nell’ordine tramandato dalla tradizione. Lutoslawski ad esempio non ha mai tentato di omologare quelle combinazioni alternative di ensemble strumentale senza violini, che cerca il suo punto di forza nella percussione e via di seguito. La sua orchestra è il normale grande complesso, vanto delle società filarmoniche, tutt’ora insuperato come estesa tavolozza di colori che sono alla base del suo linguaggio, linguaggio apparentemente sfigurato in termini di scrittura pentagrammatica (di lettura attraverso l’occhio) ma perfettamente equilibrato nei rapporti d’ascolto in cui si palesa mimando gli stessi gesti ai quali ci ha abituato la grande tradizione sinfonica. Il fatto che egli possa intitolare «sinfonia» una sua composizione è quindi normale e coerente con un assunto che gli ha consentito di inanellarne quattro, a rivelare un artigiano dai mezzi raffinatissimi, capace di trattare l’orchestra come un corpo vivente dove gli archi, i legni, gli ottoni, ecc. sono considerati come membri di un tutto (braccia, gambe, ecc.), articolati in modo da arricchire con i loro gesti la personalità espressiva.
Le occasioni d’ascolto che la sua musica orchestrale offre sono sempre una dimostrazione di alto virtuosismo di tecnica strumentale, degna del più nobile filone che riporta a Ravel o a Rimsky Korsakov.