Fuso orario emotivo - Quello egiziano è notoriamente più lungo, gli eventi fisici si misurano in miliardesimi di secondo, quelli psicologici in tempi felici o tristi
«Sarò di ritorno fra un minuto… egiziano!». Appena sparisce nei vicoli del suq di Khān el-Khalilī, al Cairo, sai già che non tornerà entro un minuto, e te l’aveva anche detto, a modo suo.
Del resto, il tempo sembra oggettivo, basta guardare il calendario e l’orologio e decidere semplicemente a quale fuso riferirsi: dalle nostre parti vige il CET, cioè l’ora standard dell’Europa Centrale, in Africa orientale vige il WAT e così via; ma il tempo non è per nulla oggettivo, se ci pensiamo bene. Il tempo è un modo di vedere le cose, non basta definirlo, da vocabolario, come «la durata misurabile di tutto ciò che è».
Gli eventi astronomici si misurano in miliardi di anni, gli eventi storici in secoli, gli eventi biologici e della natura in cicli, stagioni, giorno e notte; gli eventi della nostra vita si misurano in anni, mesi, giorni, ore e minuti, o anche in relazione ad altri eventi: prima di sposarmi, dopo la laurea… Gli eventi sportivi si misurano in centesimi di secondo, gli eventi fisici in miliardesimi di secondo, quelli psicologici si misurano in tempi felici, tristi, tempi di depressione, tempi di euforia, ma anche tempi di coscienza e incoscienza, di sonno e veglia, di memoria, di ricordi.
C’è poi il tempo del racconto, che può essere ricostruito dallo scrittore o dal regista, con i flashback e i salti temporali, che è diverso dal tempo «reale» di come si sono svolti i fatti. C’è il tempo passato al lavoro e c’è il tempo libero. C’è perfino il temporale che, appunto, si spera non duri mai a lungo.
Troppe situazioni diverse si contendono questo termine, non possiamo sperare di racchiuderlo in una sola definizione. Forse il tempo è un’intuizione, qualcosa che ti fa dire se ne hai abbastanza o troppo poco, più genericamente è una visione del mondo, che cambia da luogo a luogo, da individuo a individuo. Lo possiamo sperimentare, senza troppa difficoltà, proprio quando siamo in viaggio. Se torniamo all’Egitto in cui un minuto ha una durata imprecisata, cogliamo subito la mutevolezza dell’idea di tempo, una questione che non può passare inosservata.
Anzitutto c’è il tempo sontuoso dei faraoni, quella potente e lontana antichità che pure è davanti ai nostri occhi, nella forma delle piramidi e delle pareti dipinte, in cui uomini e dèi interagiscono oggi come allora davanti agli occhi di chi passa. Una infinita rappresentazione di momenti, cioè istanti di tempo, che eternano su quei muri le vite e le immaginazioni di un popolo intero. Si può anche incrociare la regina Nefertari che gioca a scacchi, forse proprio per ingannare il tempo. In ogni caso, solcare quelle colline, scendere quei cunicoli fino alle tombe, attraversare quelle valli non può lasciare il viaggiatore indifferente alla domanda sul tempo. E così come Nefertari, oggi i giocatori di dama occupano i tavolini dei bar e delle fumerie del Cairo, intenti a riempire di conversazioni e sguardi il tempo di un narghilè o quello di un tè. Ad ogni ora del giorno e della notte, poiché non in tutto il mondo la scansione del tempo è imposta dall’orario di lavoro: ci sono cose che lo travalicano, tempi che meritano il primato, più importanti del business. I tempi della relazione, del parlarsi. Anzi, perfino il business, quello dei commercianti, deve sottostare al tempo canonico della contrattazione: impossibile entrare in un negozio, comprare e uscire. Si discute, si parla, a volte si beve un caffè durante l’acquisto. Metà del mondo funziona così, chi viaggia lo sa bene.
Al Cairo (come a Delhi, a Shanghai o a Città del Messico) c’è un tempo diverso anche nel traffico, un vero e proprio ritmo scandito dai clacson e raffigurato in quel fluire impossibile di un mezzo dentro l’altro, come se la compenetrazione dei corpi si realizzasse, in uno strano varco spazio-temporale. Auto, moto, animali, pedoni, ciclisti, camion che si intersecano in una sinfonia interminabile – forse c’è una pausa fra le tre e le cinque di mattina – di strombazzamenti e accelerate di vecchi motori diesel.
Invece camminare al Cairo è un’esperienza che dona ancora un altro tipo di tempo. Permette di accarezzare con lo sguardo lento le case basse della «città dei morti», il grande quartiere che ingloba al-Qarāfa, il più antico cimitero musulmano d’Egitto, dove le tombe sono state, nel tempo, incorporate nelle case, e si sono assuefatte ai nuovi spazi di vita che questi vicoli custodiscono, al riparo dagli sguardi dei più.
C’è poi il tempo dell’attesa, di quando aprirà l’ormai agognato nuovo museo, il GEM, Grand Egyptian Museum, la cui inaugurazione si sposta sull’asse temporale del desiderio più che della realtà (ma intanto il vecchio e glorioso museo gode ancora di ottima salute). C’è il tempo del Natale dei cristiani copti, che vivono in uno dei quartieri più suggestivi della vecchia Cairo, celebrato il 7 gennaio, perché segue il calendario giuliano, semplicemente un modo diverso di contare quello stesso tempo che tutti noi viviamo. E c’è il tempo scandito dall’orologio della moschea di Muhammad Ali, la più maestosa, lassù nella Cittadella del Saladino, donato da Luigi Filippo al sultano, il quale lo ricambiò con uno dei due obelischi del tempio di Luxor, che oggi svetta in Place de La Concorde, a Parigi.
Il viaggio è l’occasione migliore per toccare con mano il tempo. E il tempo è lo scultore di ogni luogo, di ogni popolo, di ogni animo. Sant’Agostino sosteneva che vi fosse una «memoria del passato» (ciò che rende il passato ancora presente a noi) e una «aspettazione del futuro» (ciò che rende il futuro un concetto già presente): così noi teniamo tra le mani sempre un qui e ora, quello della nostra interiorità, del modo che abbiamo di intendere le cose. E non a caso, quattordici secoli dopo, il filosofo idealista Friedrich Schelling considerava il tempo come un senso interno, che solo successivamente diventa un oggetto.
Siamo attraversati dal tempo, dentro e fuori di noi, in un misterioso dialogo con le cose e con le immagini, per cui possiamo giocare a scacchi con Nefertari e l’istante seguente immaginare la nostra futura casa su Marte. È solo questione di tempo.