Il personaggio ◆ Fu arrestato a Vacallo mentre preparava le proprie nozze
Nell’Ottocento dalla Tipografia Elvetica sul Ceresio partivano clandestinamente i testi che infiammavano gli ideali risorgimentali italiani: grazie anche a un eroe dimenticato. Parla lo scrittore Pietro Berra.
Pietro Berra, come descrive Dottesio nel romanzo Il contrabbandiere di libri?
Dottesio è figlio di operai tessili. Basterebbe questo a tappare la bocca di chi sostiene, come è accaduto nei mesi scorsi, che il Risorgimento è stato fatto da quattro ricchi che non avevano niente da fare. Aveva interrotto la scuola alla quarta elementare per andare a lavorare. I pochi libri che ha fatto in tempo a intercettare nei primi anni di scolarizzazione lo avevano appassionato. Si iscriverà ai corsi serali che si tenevano all’attuale liceo Volta di Como dimostrando un’enorme generosità verso la collettività. Il momento di passaggio è nel 1836, quando mette a repentaglio la propria vita per assistere da volontario i malati colpiti da un’epidemia di colera. Sappiamo che un ufficiale austriaco dell’epoca aveva scritto una lettera in cui chiedeva che sua figlia, malata di colera, venisse assistita proprio dal Dottesio che era il più serio e affidabile di tutti. Un merito che non gli servirà quando verrà poi portato a processo.
Ed è lì che conosce l’amore della sua vita.
Esatto, Giuseppina Bonizzoni, di una classe sociale più alta, ricca, che viveva nel centro storico di Como. Aveva cinque anni più di lui, era moglie di un farmacista e si prodigava anche lei per i malati di colera. Si innamoreranno e si dichiareranno però solo dieci anni dopo, nel 1846, quando lei era ancora sposata e madre di sei figli. Per un anno e mezzo è un amore clandestino. Poi, a gennaio del 1848, il marito di lei muore d’infarto e i due si possono finalmente frequentare, anche se con molte resistenze da parte della famiglia di lei. I parenti la manderanno a Morbegno, in Valtellina, per tenerla lontana dal Dottesio e non farli convolare a nozze.
Il tentativo di sposarla sarà poi una trappola, per lui.
Vero. Serviva un prete disposto a sposarli, cosa tutt’altro che facile perché allora il Canton Ticino era sotto la diocesi di Como e il vescovo di Como era vicino agli austriaci. Si dice, inoltre, che Dottesio avesse scritto un libro proprio contro di lui, quindi nessun prete era disposto a sposarli. Poi succede che in quel fatidico 12 gennaio 1851, quando Dottesio si reca un’ultima volta a Capolago, lo fa perché l’allora direttore della tipografia, Gino Daelli, gli aveva fatto capire di avere trovato un prete disposto a sposarli, un sacerdote di Campione d’Italia. Luigi Dottesio si reca in Svizzera attraverso il Bisbino, seguendo i sentieri dei contrabbandieri. Giuseppina, alla quale era stato ritirato il lasciapassare, aveva tentato di entrare in Svizzera grazie alla carrozza di un amico super ricco, Zanchi, ma era stata respinta in frontiera. I due si erano dati appuntamento a Mendrisio, dove però arriva solo Zanchi che spiega a Dottesio l’accaduto.
Com’è finita?
A quel punto Dottesio va in grande agitazione. Temendo una perquisizione a casa di Giuseppina (che partecipava al trasporto di libri proibiti) fa di tutto per recarsi da lei. Non sente ragioni e torna verso Como, portando con sé un malloppo che gli aveva dato il direttore dell’Elvetica, passando dal valico di Roggiana (non c’era ancora quello di Pizzamiglio) dove di solito a vigilare c’erano i finanzieri del posto. Ma quel giorno, purtroppo per lui, ci sono anche due guardie della polizia austriaca. Sono loro ad arrestarlo. Un terzo che si trovava in un’osteria di Vacallo lo vede mentre getta il malloppo in uno scoscendimento e va a recuperarlo. Quei documenti gli saranno fatali il giorno del processo, perché attestano che esisteva una rete di librai che diffondevano testi proibiti.
Tragica la fine a Venezia.
Sì, a Venezia gli fanno un processo molto irregolare in cui il PM, pagato dagli austriaci, faceva anche il suo «difensore». A Dottesio non era chiaro che la valutazione del suo reato era stata spostata dal codice civile a quello militare. Forse anche per questo aveva rifiutato una via di fuga che gli aveva creato Giuseppina Bonizzoni corrompendo un muratore, quando ancora si trovava nel carcere di Como. Erano fuori dal carcere ad aspettarlo in carrozza e avevano creato un varco per farlo scappare. Ma lui resta lì, pensando che al massimo gli avrebbero inflitto un anno di carcere, mentre se l’avessero sorpreso a fuggire gli anni sarebbero diventati magari dieci.
La vicenda, però, finisce molto peggio.
Dottesio diventa il simbolo attraverso il quale perseguire il sistema di diffusione di idee ribelli e così si giunge alla condanna a morte. L’esecuzione è affidata a un ragazzo al primo giorno di lavoro come boia che impiccandolo gli spezza male il collo e lo lascia rantolante per mezz’ora in Campo di Marte a Venezia. Quel ragazzo espierà l’errore impiccandosi qualche tempo dopo, in una sorta di finale tragico e al contempo cristologico. Dottesio, nelle sue lettere dimostra un’eccezionale spiritualità. A poche ore dall’esecuzione scrive alla sua Giuseppina di essere l’unico a pagare per tutti, ma la domanda principale che si pone è se sia stato capace di perdonare a sufficienza i suoi persecutori. Una grande figura morale. È importante ristudiare quei decenni 1840-1860 per capire come la cultura abbia contribuito a cambiare le persone e il destino dei nostri due popoli.