Romanzo ◆ Con La moglie uscito ora in italiano, Anna-Sophie Subillia ha ricevuto quest’anno il Premio Svizzero di letteratura
«Muhammad ha fissato un dondolo di rattan al soffitto del portico. Da lì, oltre il muretto di cinta, si vede il mare. È come se la casa fosse emersa dalla sabbia sotto forma di cubo e si fosse indurita naturalmente all’aria. La casa è sabbia, e la sabbia entra da tutte le parti. Te la ritrovi nei nodi del tappeto, sotto il tappeto, in bocca, nella frutta appena tagliata. Scricchiola e scrocchia sotto i denti come sale. La casa pare una ceramica (…) Uno dei muri è color pistacchio, decorato da un fregio bianco meringa (…) L’elememto centrale rimane la bandiera della Croce Rossa, issata sul tetto a terrazza, indicatore delle zone di conflitto e la cui sola presenza trasforma il luogo. La donna è orgogliosa della bandiera sulla sua casa provvisoria».
«Definendola “moglie” o “sposa” si dà subito una connotazione precisa all’identità del personaggio che appunto è a Gaza come sposa e accompagnatrice del marito in missione»
Siamo a sud di Gaza, corre l’anno 1974 e ad abitare questa casa un po’ cubica, un po’ transitoria è una coppia svizzera. Lei la moglie, si chiama Piper Desarzens, lui, il marito, è Vivian Desarzens, delegato svizzero del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) in missione a Gaza. A firmare il romanzo invece è Anne-Sophie Subillia, classe 1982, losannese, scrittrice svizzero-belga, vincitrice del Premio svizzero di letteratura proprio con quest’opera uscita originariamente in francese per l’editore Zoé con il titolo L’épouse (2022). Abbiamo avuto il piacere di incontrarla a Lugano qualche settimana fa ospite della Casa della Letteratura per presentare l’uscita del suo libro tradotto in italiano da Carlotta Bernardoni-Jaquinta e edito da Gabriele Capelli.
Studi in letteratura francese e storia all’Università di Ginevra, diplomata in scrittura letteraria alla Hochschule der Künste di Berna, Anne-Sophie Subillia, dedita anche alla poesia, per scrivere questo romanzo si è ispirata alla storia dei suoi genitori che proprio nel 1974 si sono trasferiti a Gaza per via dell’incarico del padre, delegato del CICR proprio come il protagonista del suo romanzo.
Colpisce subito il fatto che La moglie sia uscito proprio ora che il conflitto israelo-palestinese si è riacceso tornando al centro dell’attualità ma si tratta di una coincidenza «Certo la situazione nella striscia di Gaza era insostenibile da molto tempo ormai e in un certo senso non sorprende quanto sta accadendo. Ma il mio libro è completamente slegato dai fatti di oggi, che sia uscito proprio ora è solo un caso».
Di Anne-Sophie Subillia ci piace innanzitutto la scrittura – precisa, asciutta, intima – così come il passo narrativo scandito da frasi brevi, descrizioni ampie e sporadici dialoghi. Una scrittura che ti entra dentro, ti avvolge e a tratti ti fa sentire la presenza, il sapore, «il mormorio» di quella sabbia sparsa ovunque, dentro e fuori casa, dentro e fuori l’anima, come se fosse un elemento costante delle vite di chi abita nella striscia di Gaza. Un po’ come il khamsin, «il vento del deserto che di solito soffia in primavera».
E seppur tutto pare essere secco, asciutto e difficile, ci sono oasi di bellezza, fertilità e speranza. Primo tra tutti il giardino che all’inizio dell’inverno – con il suo terreno secco e povero – fa disperare Piper. «A gennaio ha un aspetto orribile. Nient’altro che sabbia. Canneti ed eucalipti che puntano con le loro lunghe foglie a frusta» ma che in un secondo momento regalerà piccole, intense gioie grazie alla cura e alla sapienza di Hadj, il giardiniere.
«Di ritorno a casa. In giardino ci sono stati altri cambiamenti. La carriola è parcheggiata nel cortile, con una pala appoggiata sopra di traverso e delle tracce di cemento secco sul fondo del cassone (…) Adesso quel posto è un pozzo di sole, un incantevole gloriette. Si sta così bene. La donna rimane a bocca aperta per la gratitudine. Hadj e i suoi figli hanno pulito tutto per liberare la vegetazione preesistente. Limoni, bouganville e kumquat in piena fioritura che non avevano ancora visto. Rivolte verso i limoni, due poltrone di vimini, ormai grigie per l’usura, danno le spalle a una pianta sconosciuta e rigogliosa, molto profumata, che non è né vigna né kiwi, ma anche lei rampicante e a viticci, che è stata disposta a spalliera». Il giardino per la sua presenza e la sua influenza «diventa un personaggio – dice l’autrice. È una metafora, il simbolo dell’amicizia incredibile che si viene ad instaurare con Hadj che è pieno di energia, si occupa di tutto e la rende felice. La donna è felice quando lo vede arrivare con l’asino e i suoi figli. Tra i due c’è una cura, un’attenzione reciproca e il giardino è il centro, il punto di equilibrio e di mediazione» tra due persone provenienti da culture e realtà così diverse. Non per nulla «la flemma» di Hadj sulle prime insospettisce la moglie.
Abbiamo detto all’inizio che i protagonisti hanno un nome, eppure lei, Piper, nel romanzo è sempre la moglie. Perché? «È una scelta provocatoria. Definendola “moglie” o “sposa” in francese si dà subito una connotazione precisa all’identità del personaggio che appunto è a Gaza come sposa e accompagnatrice del marito in missione». Piper entrerà in crisi per questo suo ruolo trovandosi ben presto nel bel mezzo di una crisi esistenziale. Vivian invece è impegnato a incontrare quotidianamenti i prigionieri delle carceri di Gaza, Be’er Sheva, Nablus, Hebron, Jenin. Ascolta i racconti e le testimonianze dei singoli, delle loro famiglie trascrivendo le sue impressioni.
Tante anche le scene di ordinaria serenità. I venerdì sera al Beach Club, le passeggiate in riva al mare, il sabato mattina in centro o le sere al cinema all’aperto che fotografano la realtà a Gaza (nella foto la vista del porto): «Quella sera vedono solo un quarto del film. Verso le nove, il proiettore singhiozza, poi si spegne tutto. L’insegna e la ghirlanda luminosa del Beach Club smettono di lampeggiare. I clienti aspettano un momento mentre il proprietario dispiaciuto tenta di rimettere in moto la macchina. Ma è tempo perso, lo sanno tutti. L’elettricità è controllata dagli israeliani che fanno quello che vogliono. Come molti altri venerdì sera su Gaza regna l’oscurità».
Seppur il legame con l’attualità non è voluto è chiaro come proprio questo elemento renda oggi più intensa la lettura de La moglie. Una storia raccontata con delicatezza, con una conoscenza dei luoghi narrati, con momenti di grande malinconia che si alternano a momenti di piccole gioie e conquiste quotidiane in un contesto percepito spesso come difficile e ostile. E a tenere insieme tutto c’è la scrittura di questa autrice, fluida e dolce come la risacca del mare, vero valore aggiunto di quest’opera.