Personaggi musicali ◆ Intervista a Gregorio Di Trapani, membro del Lugano Percussion Ensemble
«Diversi anni fa quando ero studente ho fatto un’esperienza bellissima con un sestetto di percussioni (nella foto l’ensemble al completo) nato al Conservatorio della Svizzera Italiana. Dopo anni di lavoro mi hanno chiamato per una produzione in Iran dove ho suonato con dei miei colleghi percussionisti veramente in gamba. Alcuni li conoscevo già e con altri abbiamo stretto amicizia. Questa amicizia si è trasformata in voglia di condividere progetti. Io avevo voglia di mettermi in gioco con un sestetto di percussioni». Parte da qui l’intervista con Gregorio Di Trapani, dalle origini del Lugano Percussion Ensemble che dal 2017 ad oggi ha vissuto un crescendo incredibile. «Ancora prima che nascesse la denominazione ufficiale del gruppo eravamo stati invitati più volte al festival di Marta Argerich, e registrato con lei per la Deutsche Grammophon. Abbiamo aperto i corsi estivi di musica contemporanea di Darmstadt da solisti con la Basel Sinfoniette; siamo stati invitati in Giappone da solisti con l’Osaka Symphony Orchestra e di recente in Venezuela dall’Orchestra Municipal de Caracas». Fra le tante esperienze l’ensemble ha realizzato un primo disco con la casa discografica Stradivarius e ne usciranno presto altri due.
Per essere un ensemble così particolare, la vostra attività sembra molto intensa…
Il nostro intento sarebbe quello di realizzare un disco ogni anno. Possiamo contare sul sostegno della RSI, che ci garantisce una produzione di alto livello, e da parte di Pro Helvetia. Poi all’attività discografica affianchiamo un programma di concerti molto ricco. Siamo stati in Bolivia, Giappone, Finlandia, Venezuela, Romania, Italia, USA, Germania e in Francia. In pochi anni il numero delle esibizioni è aumentato considerevolmente. Nel 2023 siamo partiti con una tournée che porta in giro un bellissimo progetto: uno spettacolo in cui proponiamo brani scritti da compositori internazionali per sei percussioni soliste e orchestra. La prima esecuzione si è tenuta addirittura al Biwako Hall con la Osaka Symphony Orchestra, la notte di San Silvestro.
Gran parte dell’interesse che suscitate è caratterizzato, immaginiamo, proprio dall’originalità dell’organico di sole percussioni…
Le percussioni sono, tutto sommato, uno strumento molto giovane e quindi in un certo senso, dal punto di vista del panorama popolare, tutto da scoprire. D’altro canto i brani stessi nel programma sono abbastanza suggestivi. Ognuno di noi si presenta con un set di percussioni molto vario e multiforme. Sono sei postazioni abbastanza particolari. Immagini la scena: sei percussionisti, con dietro l’orchestra, con marimba e altri strumenti inusuali proprio di fronte; lo strumento stesso dà spettacolo. Spesso i brani sono molto virtuosi e l’imponenza e il volume delle percussioni prende allo stomaco di chi ascolta. Travolge!
È difficile trovare compositori che scrivano per un ensemble così complesso?
Anche da questo punto di vista il compositore stesso deve tenere presente la particolare situazione della percussione. I compositori con i quali collaboriamo stanno al gioco, progettando situazioni esecutive originali e stimolanti. Tutto lo spazio della sala diventa luogo di una performance: una cosa che ha anche aspetti visivi interessanti. La forma della sala e la disposizione del pubblico ci portano a trovare di volta in volta delle nuove soluzioni per allestire i nostri set-up per dare al pubblico il massimo dell’ascolto e della visibilità.
Quindi per l’interpretazione del vostro repertorio la collaborazione con i compositori è fondamentale?
Certo, a volte loro pensano proprio di scrivere cose specifiche, studiate per il nostro gruppo. A noi in particolare interessa la nuova musica e quindi collaboriamo con compositori contemporanei svizzeri, italiani e di altri paesi. Cerchiamo di far interagire le loro idee con le nostre potenzialità, le loro esigenze con le nostre. Un esempio ben riuscito di questa collaborazione è ad esempio lo spettacolo Light percussion, creato per esaltare la timbrica di alcuni strumenti molto piccoli e per avere comunque un risultato di impatto, come se fossero percussioni più grandi. È un’idea molto originale, in cui si cerca di far stare tutti gli strumenti in una valigia, come si trattasse di musica portatile. Per questo specifico «format» abbiamo un serie di brani scritti appositamente per noi da compositori come Mathias Steinauer, Giacomo Platini, Luca Staffelbach, Lars Heusser, Antonio Accursio Cortese e molti altri. È una cosa che sta piacendo molto, che sta funzionando, grazie alla quale possiamo esaltare un aspetto del colore della percussione. In un brano ad esempio si usano solo metalli, in un altro legni, in un altro ancora pietre. Non ci sono vere melodie, ma si tratta di una melodia timbrica e ritmica molto particolare.
D’altro canto occorre considerare che le percussioni hanno sempre un fascino, per così dire, molto tribale.
Sì, c’è un importante aspetto anche nella componente ripetitiva delle sequenze percussive. Non per niente ricorriamo anche a brani storici di compositori come Steve Reich, alla sua Musica per pezzi di legno. In effetti la percussione ha un suo minimalismo fondamentale, e sono pezzi che piacciono sempre. La percussione classica aveva una funzione coloristica, di abbellimento. È stato Stravinski che le ha dato un ruolo diverso, fondamentale e autonomo nel discorso musicale. I compositori di oggi scrivono con un’altra idea, tenendo conto della dimensione della performance. L’idea dell’impatto visivo dell’esibizione sta diventando importante anche nella musica classica; sempre più spesso anche gli orchestrali curano il loro apparire. La percussione, in questo senso, è avvantaggiata dal punto di vista visivo. Considerando che nelle orchestre ogni sezione di strumenti rappresenta quasi una tribù con particolari caratteristiche, noi percussionisti siamo forse quelli più «istintivi», animaleschi. La «body percussion» è lo strumento primordiale, rispetto ad altri tipi di espressione strumentale: flauti, trombe, violini sono già in una dimensione diversa.
Spesso il concerto contemporaneo è ritenuto un po’ ostico…
Certo, ci sono pregiudizi sulla musica moderna, i nostri brani sono iper-contemporanei ma occorre dire che scegliamo compositori che abbiano anche un occhio sul pubblico, sulle sue aspettative. È un atteggiamento fondamentale, che ci spinge a differenziarci dagli «avanguardisti» classici. I nostri brani passano dall’etnica alla «body percussion», facciamo suonare matite sul tavolo. Sono tutte sorprese che sconvolgono le aspettative, piacciono addirittura ai bambini e ai critici di musica che di solito seguono la musica classica
Quando si potrà ascoltarvi dal vivo?
Saremo in Ticino il 16 novembre, all’Asilo Ciani di Lugano, con alcuni brani accompagnati dalle immagini live di Roberto Mucchiut. Il progetto Sensitive Darkness invita ad un viaggio sensoriale, dal buio verso la luce stuzzicando i sensi del pubblico.