È vertiginosa la via ferrata del Daubenhorn

by Claudia

Alpinismo - Con i suoi 1000 m di dislivello, 2000 m di cavo d’acciaio, 216 m complessivi di scalette, l’ascesa dura circa 6 ore

Fino all’inizio degli anni Novanta, la Svizzera era praticamente sprovvista di vie ferrate, alpinisticamente parlando. La svolta è arrivata solo nel 1993, con l’apertura del primo tracciato, messo in sicurezza con funi metalliche, sopra la capanna Tällihütte, nell’Oberland Bernese. Da allora nel nostro Paese sono state realizzate circa quaranta vie che, secondo il Soccorso Alpino Svizzero, sono scalate da più di 35mila persone ogni anno.

Affidandomi alle numerose recensioni di alpinismo che circolano in rete, ho deciso di arrampicarmi su quella più lunga e impegnativa, ovvero la grande via ferrata Gemmi-Daubenhorn situata a Leukerbad.

Poco dopo essere arrivato nella famosa località termale, capisco che il tempo non promette niente di buono. Le fitte nuvole grigie e la nebbia oscurano la grande parete sud-orientale. Mi sdraio sull’argine del piccolo fiume per scorgere maggiori dettagli: intravedo qualche roccia aguzza che spunta verso Valle del Dala. Col passare dei minuti riesco a vedere con molta più nitidezza quello che mi aspetta domani mattina.

Il muro è ormai a poche centinaia di metri e si presenta in tutta la sua altezza. Fisso la vetta talvolta ripercorrendo il tragitto dall’alto verso il basso e viceversa. Sono attimi importanti per rendere omaggio alla montagna e per «programmare» la mente a perseverare fino al traguardo. Rientro in albergo e chiedo informazioni inerenti al percorso ed eventuali insidie alle quali dovrei essere preparato, e mi si presenta l’occasione per chiacchierare con il figlio del proprietario: un giovane di buone maniere e con l’esperienza adatta al caso. Mi tornerà utile, questo scambio.

Mi metto in cammino alle 05.30 per la via meno consigliata in quanto risulta essere la più faticosa. La funicolare del passo della Gemmi, di cui la prima corsa era da prenotare, apre soltanto alle 7.30. È il mezzo più veloce per accedere alla via ferrata ed è usata della stragrande maggioranza delle persone. Un po’ per la paura di non trovare un posto libero, un po’ per lo «spirito alpinistico» che mi porta a non voler ingannare la montagna usando i mezzi di trasporto, decido di andare a piedi.

Il sentiero del Gemmiweg dura circa un’ora e mezza e presenta un dislivello di 700 m. Si tratta di una strada sterrata che diventa sempre più stretta e ripida per scomparire tra i precipizi delle umide gole della parete rocciosa. In un altro giorno sarebbe stato un trekking d’allenamento, ma oggi è solo l’inizio di un arrampicata verticale, un cosiddetto «spaccafiato» che precede la mia colazione a base di miele e cioccolato.

Con ben 45 minuti di anticipo sui primi alpinisti, sono pronto a iniziare la mia avventura imboccando uno stretto sentiero blu. A ridosso della parete sud orientale il primo tratto è inclinato verso il burrone. Da vicino appare come un ammasso di tegole di granito prodotte dall’erosione che finiscono nell’abisso a strapiombo. È uno di quei tratti in cui la montagna sembra avere un proprio sistema vascolare, dando vita a sottili cascate che rammentano larghe scie di sudore. Mi muovo con cautela, concentrandomi sul baricentro.

Comincio con molta esitazione la grande via ferrata, la Leukerbadner, in un posto chiamato la «Untere Schmitte» situata a un’altitudine di 2031 m s.l.m. Mi ci vogliono pochi minuti per abituarmi alla vista di questo umido e scivoloso sentiero che diventa sempre più domabile con l’apparire dei primi raggi del sole. La stretta via conduce a un passaggio chiamato il «Naso», primo vero assaggio di quella che sarà l’intera scalata. Benché non necessiti di una grande tecnica, il tratto appare molto esposto, tanto da diventare una sorta di campanello d’allarme per i meno esperti.

Secondo una guida locale sono molte le persone che «gettano la spugna» dinanzi a questa larga colonna rocciosa. Mi fermo a metà e, con il supporto di un cordino mi lascio pendere nel vuoto. Non è un esercizio che mi riesce facile ma è inevitabile per abituarmi alla lunga arrampicata che mi attende. Con i suoi 1000 m di dislivello, 2000 m di cavo d’acciaio, 216 m complessivi di scalette, la scalata ha una durata stimata di 6 ore durante le quali è indispensabile sapersi riposare in verticale. Poco dopo sono completamente rilassato e disteso nel vuoto del «Naso».

Al di là della mia schiena, con la coda degli occhi, vedo Leukerbad, la mia macchina e le rive del fiume dalle quali prendevo le misure del tracciato. Sulla mia destra i primi alpinisti arrivati con la funicolare stanno per superare il deposito di detriti di granito. Mi rimetto in cammino. La salita verticale comincia alla Grasrücken, è qui che viene dato il via allo spettacolare alternarsi di pareti di roccia sulle quali è un piacere aggrapparsi.

Da qui in avanti si è sempre esposti e ogni metro costa sempre più fatica. Dopo quattro ore dalla mia partenza giungo alla serie di scalette in acciaio; queste mi conducono alla famosa bandiera svizzera fissata sulla parete. Quella che dal fiume mi sembrava minuscola e difficilmente raggiungibile, ora appare gigantesca e a portata di mano. Chissà se quando è stato festeggiato il primo agosto qualche temerario si è concesso una «scappata» notturna per vedere i fuochi d’artificio da questa prospettiva.

Nonostante la sua posizione verticale, la parete nei pressi della bandiera elvetica propone un piccolo balcone in ferro, adatto per ammirare il panorama. Se fossi un abitante di Leukerbad, io, ci farei più di un pensiero. La prima vera pausa arriva a un punto chiamato Obere Freiheit situato a 2303 m s.l.m. Da qui si può scendere in paese per una via alternativa o procedere per la vetta. Si trova a un terzo della salita e rappresenta un vero ultimatum rivolto a coloro che optano per una vita più facile. Da qui in avanti si fa sul serio e i punti di soccorso sono veramente pochi, talvolta distanti tra di loro.

Con quasi 650 m di dislivello, per la maggioranza in verticale, questa parte della ferrata è pubblicizzata sul sito della Redbull quale una delle più dispendiose di energia a livello mondiale. Poco importa visto che proprio in questo tratto si hanno le emozioni migliori. Ormai raggiunto da un gruppo di escursionisti slovacchi, procedo lungo la colonna della seconda variante. Davanti a noi un ponte costruito con due lunghi cavi d’acciaio unisce le due estremità della bocca di una grande grotta. Un’esperienza astratta, surreale, e contrastante allo stesso tempo. In pochi minuti ci si trasforma da funamboli equilibristi a speleologhi in cerca di un attacco per riposare le braccia.

Mi spingo lungo la parete ovest, nelle profondità della grotta, dove trovo sollievo sotto una piccola cascata. È la miglior doccia fredda che io abbia mai vissuto. Il getto d’acqua gelida mi avvolge di brividi che per la prima volta non sono causati della vertiginosa arrampicata: un rinfrescante toccasana. Fuori dalle viscere delle montagna continuo lungo un pilastro interminabile e stancante. Va detto che non mancano punti in cui si può riposare, facendosi superare dagli altri scalatori pur non essendo di alcun impiccio.

Giungo al secondo posto del ristoro solo poco prima di mezzogiorno. È il momento di sdraiarsi sulla roccia e rilassarsi completamente prima di fronteggiare la via più esposta del tragitto, la «via Konst». Anche se dalle vie ferrate non si cade, perdere la presa in quel frangente equivarrebbe a bucare un qualche tetto di Leukerbad, tale è il grado di esposizione di quel passaggio. Dedicato a Konstantin «Konst» Grichting, uno dei costruttori della ferrata, morto in un incidente sul lavoro nel 2006, questo passaggio offre una vista spettacolare su tutta la Valle del Dala.

Nonostante sia tecnicamente facile, esso richiede un impiego di forza delle braccia che, dopo cinque ore di costante lavoro, possono rifiutare obbedienza. Nel mio caso questo si traduce in atroci crampi alle dita della mano sinistra che mi porterò fino in vetta. Per i più stanchi esiste un passaggio alternativo che conduce alla parete finale con la grande scala. Come da copione già rivisto in tutte le mie avventure di montagna, si stratta di un ultimo sforzo che ogni escursionista sostiene con passi lenti e calmi. Alle 14 raggiungo il crocifisso che marca i 2941 m s.l.m: la tanto ambita vetta del Daubenhorn.

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