Auto-aiuto – Nasce il gruppo AMaRMI per familiari di persone con disturbi del comportamento alimentare
Sofferenza, solitudine, impotenza, ansia, collera, paura. Sono alcuni dei sentimenti che emergono nelle famiglie in cui una figlia o un figlio soffre di un disturbo del comportamento alimentare. «Per noi questa malattia era del tutto sconosciuta e non è stata facile da capire e accettare, anche perché, essendo nostra figlia una ragazza bellissima, intelligente e con tante qualità, ci chiedevamo – senza trovare risposta – perché si distruggesse in questo modo», afferma Marta (nome di fantasia), che si è accorta che qualcosa non andava quando la figlia ha cominciato a rinunciare ai dolci. «Queste rinunce si sono poi estese ad altri alimenti e le porzioni nei piatti si sono ridotte sempre più finché il risultato di ciò ha cominciato a vedersi nel fisico – continua – un genitore che si trova confrontato con questa malattia sente quanto sia impotente, quanto non venga ascoltato; cerca invano di dare consigli, di parlare delle conseguenze, cerca dei modi per arrestare questa discesa, della quale non intravvede la fine». Quelle che rientrano sotto il cappello dei disturbi del comportamento alimentare sono infatti in genere patologie lunghe, che mettono di conseguenza a dura prova, oltre la persona che ne soffre, pure chi le sta vicino.
«Noi ci troviamo in questa situazione ormai da alcuni anni e benché ci sia stato un grande miglioramento, grazie a diversi terapisti e a una dottoressa specializzata, la malattia non è ancora risolta e resta sempre un sentimento di precarietà», commenta Marta. Un altro elemento che può far soffrire un genitore è il fatto che gli possa venir attribuita una responsabilità del malessere del figlio. «In realtà sono tanti i fattori che possono contribuire all’insorgenza di una simile malattia, come l’uso inappropriato dei social media o un’ipersensibilità caratteriale che fatica a filtrare i commenti altrui», aggiunge Marta, che sarà una delle partecipanti di un nuovo gruppo di auto-aiuto rivolto proprio ai familiari di persone con disturbi del comportamento alimentare. «Ho avuto il piacere di conoscere l’ideatrice di questa iniziativa prima che si creasse il gruppo; mi ha seguita nei momenti più bui e mi ha aiutata a non perdere la speranza; non isolarsi, per trovare la forza di lottare, è infatti molto importante – racconta Marta – in questo senso trovo utile che ora esista un gruppo, dove ci si possa incontrare, discutere e trovare un po’ di conforto». Se un figlio, lungo il percorso terapeutico, è infatti seguito da un team di professionisti, i genitori possono invece sentirsi disarmati e non sufficientemente supportati; altro motivo per cui può essere benefico ritagliarsi uno spazio di dialogo proprio come possono essere i regolari incontri di un gruppo di auto-aiuto.
Un’altra persona che fa già parte del gruppo, prima dell’inizio ufficiale degli incontri, è Anna (anche questo nome è di fantasia), la cui figlia ha cominciato ad avere un disturbo alimentare verso i 16 anni: «Per noi è stato lungo e difficile già arrivare ad avere la certezza che i nostri timori fossero fondati, perché la persona che soffre di questo tipo di disturbo riesce, con vari stratagemmi, a infondere il dubbio sulla sua reale situazione. Quando cercavamo di toccare l’argomento, diceva che andava tutto bene; in quei momenti ti senti veramente impotente perché vedi tua figlia non star bene e non sai come aiutarla. Purtroppo, anche le preoccupazioni da noi espresse a chi allora la seguiva hanno portato a scarsi risultati. Cosa che, probabilmente, non succederebbe più oggi essendo la problematica più conosciuta. Per fortuna, a un certo punto, un’amica ha confermato il disturbo alimentare e il disagio in cui viveva nostra figlia; dopodiché abbiamo intrapreso un percorso terapeutico, anche se nostra figlia non sempre voleva collaborare. Una seconda svolta ha poi coinciso con l’indicazione di un’altra terapia da seguire, da parte di una mamma e sua figlia che avevano vissuto una situazione simile alla nostra». Ed è proprio dalla necessità di condividere che nasce l’idea di costituire questo gruppo di auto-aiuto per il quale è stato scelto il nome AMaRMI che, se da un lato deriva dalle iniziali dei nomi delle due donne, dall’altro evidenzia un concetto fondamentale per la ricostruzione dell’identità di chi soffre di una di queste malattie. «Lo scopo è dare la possibilità ai partecipanti di depositare i propri pesi e le proprie sofferenze nella discrezione e nel rispetto reciproco, ma anche e soprattutto riuscire a vivere la quotidianità in modo più sereno con un nuovo sguardo di speranza e fiducia verso il futuro – spiega Doris, iniziatrice del gruppo –, con l’auto-aiuto la situazione a volte purtroppo non può cambiare, ma “è il modo in cui si decide di viverla che potrebbe fare la differenza”, ed è questo il mio augurio per tutti coloro che decideranno di partecipare».
A differenza di quello che avviene spesso nei gruppi di auto-aiuto, Doris non vive in prima persona la situazione: «Nel corso degli anni, nel mio contesto lavorativo ma anche nel privato, ho in più occasioni incontrato dei genitori confrontati con situazioni molto difficili a causa di un figlio toccato da un disturbo del comportamento alimentare – racconta l’assistente di farmacia con alle spalle anni di volontariato nell’accompagnamento in relazione di aiuto – Ciò che li accomuna è una grande sofferenza e il fatto di trovarsi confrontati con una realtà sconosciuta, che porta con sé problematiche ed emozioni nuove che spaventano. Questa loro tribolazione mi ha sempre toccata molto emotivamente, lasciandomi spesso, a mia volta, in una condizione di impotenza nei loro confronti». Desiderosa di essere concretamente di sostegno e conoscendo il valore del confronto, della condivisione e del «sentirsi capiti», Doris pensa allora all’auto-aiuto e decide di frequentare il corso organizzato dal Centro Auto Aiuto Ticino sulla creazione e la gestione di un gruppo. «L’impatto che l’anoressia ha sulla vita famigliare è tremendo – conferma Marta – la malattia prende il sopravvento e niente è più come prima. I momenti dei pasti diventano un incubo e si vive in un clima d’incertezza e precarietà, dove il proprio benessere non conta più, conta solo quello dei figli. La difficoltà sta nel mantenere delle normali attività per potersi dedicare anche agli altri figli, affinché non percepiscano un trattamento diverso in termini di attenzioni e di tolleranza, anche se lo stress e la sofferenza che si vive nuocciono inevitabilmente anche a loro».
«Fortunatamente noi siamo riusciti a superare questo duro periodo restando uniti e lavorando insieme – aggiunge Anna – anche se devo ammettere che all’esterno del nucleo familiare la sensazione che abbiamo avuto era quella di non sentirci considerati. Per questo vedo sicuramente in modo positivo la costituzione del gruppo. Sono infatti dell’idea che nessuno possa supportarti meglio di chi è parte del problema e, chissà, magari una mia parola, esperienza, terapia o il modo in cui ho vissuto una difficoltà comune potrà aiutare qualcuno a migliorare la propria situazione». Oppure – aggiungiamo – potrà rivelarsi utile per un genitore che magari ha il dubbio, ma non ancora la certezza, che qualcosa stia cambiando nel proprio figlio. «Purtroppo i disturbi del comportamento alimentare sono in aumento, colpendo peraltro ragazzini sempre più giovani; di conseguenza, le esperienze di chi ci è passato possono essere importanti anche per rendere attenti ai primi segnali, alle attitudini che possano far pensare a un eventuale inizio della malattia», conclude Doris.