Non è tutto rose e fiori

by Claudia

In Italia l'alleanza tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini fa acqua. Ecco i punti di frizione

Potesse muoversi da una capitale straniera all’altra, la poliglotta Meloni (nella foto insieme a Salvini) volerebbe nei consensi, con l’eccezione forse di Parigi. Invece le tocca misurarsi sullo sdrucciolevole terreno di casa, dove il rischio di scivolare cresce di giorno in giorno. E a darle pensieri non è l’evanescente Schlein, rappresentante di un’opposizione così innocua da rasentare l’autolesionismo, bensì i due alleati di Governo, Salvini e Tajani, pronti a ogni trabocchetto nel terrore di essere ingoiati dall’infernale macchina elettorale del presidente del Consiglio (il maschile lo pretende lei). Il punto d’arrivo sono infatti le elezioni europee della prossima primavera, quando Fratelli d’Italia (FdI) conta sia di superare il 30%, erodendo consensi proprio a Lega e a Forza Italia, sia di approdare nel nuovo Governo dell’Ue. Ma già l’autunno si annuncia infido. Malgrado la cancellazione del Superbonus edilizio, risoltosi in una mezza truffa, e del Reddito di cittadinanza, che invece è servito nonostante gli imbrogli, mancano i soldi per ridurre le tasse. La manovra di bilancio si annuncia dunque sparagnina, lontana dalle promesse dei mesi scorsi, bisognosa di essere supportata togliendo i finanziamenti ad altre iniziative. E qui ci sarà il cozzo con la Lega. Meloni, infatti, vorrebbe risparmiare con il rinvio dell’autonomia regionale, della riforma pensionistica, del Ponte sullo Stretto. Cioè, le tre battaglie identitarie di Salvini, al quale resterebbe solo il bacetto con la propria bella sul red carpet del festival cinematografico di Venezia. Un po’ poco per chi doveva rimandare gli immigranti a casa loro, bloccare le navi delle Ong, decidere il nome del capo dello Stato, rilanciare le infrastrutture, trasformare l’Italia in una Nazione federale, varare la tax flat.

Lo sbugiardato difensore della razza si trova pure escluso dalla cabina di regia sui flussi dei richiedenti asilo, da sempre il suo argomento preferito. Assieme a lui è stato accantonato anche il ministro dell’Interno Piantedosi, che ha continuato a comportarsi da capo di gabinetto di Salvini, dal quale era stato imposto nel prestigioso ruolo. Le conseguenze sono sotto gli occhi tutti. In otto mesi sono sbarcati oltre 100 mila sventurati, il doppio rispetto a un anno addietro, quasi il triplo degli anni nei quali Salvini sbraitava contro i Governi incapaci, a suo dire, di affrontare l’emergenza. Della gestione adesso dovrà occuparsi il sottosegretario alla presidenza del consiglio Mantovano, un ex magistrato moderato, di cui Meloni si fida tantissimo. Lo aspetta una prova rabbrividente: gli accordi con i libici sono oramai carta straccia; quelli con la Tunisia vengono addirittura boicottati dallo stesso presidente Saied. Gli scogli sono numerosi: disciplinare gli arrivi; evitare altre stragi in mare tipo quella di Cutro, nell’anno in corso ci sono già 2mila morti nel Mediterraneo; ricavare la manodopera necessaria per le imprese italiane e si parla di circa 500mila addetti.

Le rivalse di Salvini sono state tanto plateali quanto prive di sostanza. Ha difeso con energia un bislacco generale, Vannacci, che ha autopubblicato un libro disgustosamente razzista: nel proclamarsi discendente da Giulio Cesare, di cui ignora l’accentuata bisessualità, si pronuncia contro gli omosessuali, contro gli italiani dalla pelle scura, contro il mondo LGBTQI. Opinioni tali da indurre il ministro della Difesa, Crosetto, che di FdI è stato uno dei fondatori insieme con Meloni, a destituire il generale. Salvini gli ha subito fatto sapere di essere pronto ad accoglierlo a braccia spalancate nella Lega e di volerlo candidare alle Europee. Meloni pubblicamente non ha aperto bocca, ma in privato ha accusato l’alleato di slealtà. Lo stesso comportamento Salvini l’ha tenuto con l’ex ministro ed ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, un ex potente della destra nostalgica, che ha avuto qualche guaio con la giustizia. Porte aperte nel convincimento che Alemanno, con un passato anche in FdI, possa portare voti dal bacino elettorale meloniano. Il banco di prova più impegnativo saranno i poveri. Secondo l’ultimo rapporto Censis sono oltre 5’600’000. Diventano 10 milioni con quelli che non raggiungono fine mese. Rappresentano quasi il 17% dell’intera popolazione italiana. In questa massa coloro che hanno perso il lavoro; piccoli commercianti e artigiani che hanno dovuto chiudere bottega; le persone impiegate nel sommerso prive di particolari sussidi, di aiuti pubblici e senza risparmi da impiegare; i salariati a tempo determinato o con attività colpite dalla crisi legata ai costi dell’energia e agli effetti del cambiamento climatico, come dimostra anche il caso dell’Emilia-Romagna. Tra i 2’100’000 ricorrenti all’assistenza sociale per mangiare almeno una volta al giorno 630mila hanno meno di 15 anni; 356mila più di 65 anni. Per chi lo percepiva, il reddito di cittadinanza rappresentava l’ultima difesa dalla fame. Purtroppo il Governo non lo ha validamente sostituito, anzi discute sul salario minimo in un Paese dove regnano il nero, lo sfruttamento e l’evasione fiscale (100 miliardi l’anno).

Incombono l’inflazione e soprattutto la crisi demografica, però il chiodo fisso del centrodestra rimane la contesa elettorale del 2024. Per la prima volta le Europee sono equiparate alle elezioni nazionali. FdI e Lega si giocano i futuri rapporti, mentre Forza Italia rischia addirittura di sparire. Morto Berlusconi, è stata affidata all’evanescente Tajani, che da ministro degli Esteri ha appena combinato il pasticcio di Roma: il presunto incontro segreto fra i due parigrado d’Israele e della Libia ufficiale ha scatenato una rivolta a Tripoli e polemiche violentissime a Tel Aviv. Un terzo dei parlamentari forzisti è tentato dalla Lega, un terzo da FdI e l’ultimo terzo non sa a quale santo votarsi. Meloni se li coccola per impedire che si rivolgano alle formazioni centriste di Calenda, di Renzi e le creino grattacapi al Senato, dove la maggioranza ha margini ristretti. Loro si consentono qualche raro distinguo. Hanno alzato la voce solo per la finta tassazione degli extra profitti bancari. Gli eredi di Berlusconi temevano di perdere i cospicui dividendi in arrivo da Banca Mediolanum e i dipendenti in Parlamento si sono subito adoperati.

ABBONAMENTI
INSERZIONI PUBBLICITARIE
REDAZIONE
IMPRESSUM
UGC
INFORMAZIONI LEGALI

MIGROS TICINO
MIGROS
SCUOLA CLUB
PERCENTO CULTURALE
MIGROS TICINO
ACTIV FITNESS TICINO