Che cosa ci insegnano l’antica Grecia e i suoi miti dell’arte della persuasione e della tecnica di sedurre il prossimo con le parole, anche mentendo?
«A un uomo può capitare di essere brutto nell’aspetto, ma se un dio incorona di bellezza le sue parole, tutti guardano a lui rallegrandosi: egli parla con sicurezza, con dolce modestia, si distingue tra chi è riunito, e quando gira per la città tutti lo contemplano come un dio».
Non ci affanneremo certo a dimostrare il primato dell’antica Grecia nell’insegnarci molte cose sulle arti della retorica e della persuasione, così come molte cose su come stare al mondo; tutt’al più si tratterà invece di ricercare i motivi di tanto successo dopo i millenni. Lo fa molto bene Laura Pepe nelle duecento pagine di questo La voce delle sirene. I Greci e l’arte della persuasione, pagine che volano in un battibaleno, una virtù che è dei libri migliori. Laura Pepe insegna Diritto greco antico all’Università degli Studi di Milano e ha attività di ricerca e divulgazione parimenti distribuite: suoi sono per esempio un saggio sul diritto ateniese nelle orazioni giudiziarie del 2019 e un Gli eroi bevono vino. Il mondo antico in un bicchiere, del 2018.
Questo libro divide la materia (che è abbondante e prende, se si vuole, innumeri direzioni) in quattro tronconi che sostanziano la comunicazione nella Grecia antica: l’ambito dei miti che ci arriva in gran parte dalla letteratura, quello del discorso politico, quello della filosofia e dei Sofisti in particolare, quello dei tribunali e dei processi. Non sempre la ricerca etimologica ci premia con indicazioni attendibili sul nucleo semantico essenziale di una parola; però qui è interessante, oltre che carico di fascino, il fatto che i Greci parlassero di peithó per indicare la «persuasione» ma in origine anche la «seduzione»; cosa che carica di erotismo in senso stretto un’abitudine sociale che si sarebbe poi nei secoli voluta solo comunicativa. Nella mitologia Peito è anche la dea della persuasione, raccontata nell’iconografia come una che frequenta Eros e Venere, e ovviamente anche Afrodite, in un mondo fatto di profumi e di ovatta.
Il ragionamento sui miti – va riconosciuto – è veramente uno spasso: un po’ perché da come si comportano gli dei si capisce come si comporteranno e si comportano ancora oggi gli uomini e un po’ perché quella letteratura è fondante di gran parte delle espressioni estetiche poi sviluppatesi nell’intero mondo occidentale (cinema, melodramma, serie tv ecc.). Le storie che corrono, soprattutto quelle che rendono conto degli affetti e dei legami famigliari non sono nel frattempo cambiate di molto, tanto che la vicenda della seduzione di Zeus da parte di Era nel quattordicesimo canto dell’Iliade, con i maneggi che coinvolgono un rapporto opportunistico della dea con la rivale Afrodite e tutta una serie di altre ipocrisie, se vestita e caramellata un po’ avrebbe un sicuro successo ancora in questi anni. Piuttosto, negli intenti di questo libro, si tratta di identificare chi seduce chi: di fatto, non Zeus (piuttosto «un molestatore seriale», come dice Eva Cantarella), bensì la stessa Era, essendo presso i Greci la seduzione un processo supremamente femminile.
Fuori da quell’immenso universo mitologico, il libro ci racconta della democrazia ateniese e delle sue istituzioni, dell’attività dei Sofisti con la loro messa in ridicolo nelle commedie di Aristofane e delle orazioni nell’esercizio della giustizia. Forse la parte più commovente del libro è quella che racconta del processo e della condanna a morte di Socrate, esempio di «come non bisogna comportarsi in tribunale». C’è modo e modo di raccontarla, ma scegliere la prospettiva dell’operazione di persuasione mancata e della confusione tra tribunale e tribuna filosofica è uno dei tesori del testo di Laura Pepe. Il quadro si conclude con l’immagine del maestro che discorre di filosofia con i suoi discepoli e con il carceriere che, portandogli la cicuta, «gli chiede di camminare un po’ e poi, quando avesse sentito le gambe pesanti, di distendersi sul letto». Il libro è adattissimo anche a chi abbia – che so – un figlio che inizia il Liceo classico.