Il tempo dell’amicizia

by Claudia

Relazioni - L’amicizia vera si nutre di intimità e condivisione, per coltivarla bisogna dedicarle tempo di qualità, attenzioni e comprensione, non bastano i social

«Trova il tempo di essere amico, è la strada della felicità», scriveva Madre Teresa di Calcutta; e che la felicità possa risiedere in atti semplici, come l’incontro con un amico, lo pensa anche Mathias Binswanger (professore di economia alla Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale a Olten e docente privato all’Università di San Gallo), il quale conduce delle ricerche proprio sul tema della felicità. In una di queste ricerche, Binswanger divide la felicità in due ambiti: soddisfazione generale nei confronti della vita e benessere emotivo. Il secondo riguarda i piccoli momenti di felicità, senza i quali, a lungo termine, non saremmo soddisfatti delle nostre vite. Brevi attimi di felicità – come incontrare un amico per un caffè – che andrebbero quindi ricercati, da un lato, e dei quali bisognerebbe saper gioire, dall’altro, per evitare di vivere in attesa di quelli «grandi», che capitano poche volte nella vita, come quando ci si innamora, ci si sposa o si ha un figlio.
Bisognerebbe saperne gioire anche perché la felicità si ripercuote sul nostro essere, rafforzando le difese dell’organismo e favorendo la resilienza. Chi è appagato dalla vita in genere percepisce, per esempio, la malattia e il dolore in modo meno intenso. Nello specifico, anche il fatto di avere degli amici è importante per il nostro benessere psicologico e fisico. Un’intuizione avallata da diverse ricerche scientifiche, le quali dimostrano alcune importanti proprietà dell’amicizia: riduce lo stress e l’ansia, favorisce l’elasticità mentale, protegge a livello cellulare contro le malattie, rafforza il cuore, previene l’obesità. Al contrario, la mancanza di connessioni sociali può far male alla stregua del fumo e dell’obesità. 
Coltivare un’amicizia, dedicandole il tempo necessario senza stare con lo sguardo fisso sull’orologio, è quindi un buon modo per migliorare la propria salute, in generale. Già, il tempo. Il problema di oggi è infatti proprio quello che non sono poche le persone che ritengono di non avere tempo da investire nelle proprie amicizie, si stima una su tre nelle società occidentali. Presi dalle proprie vite che viaggiano veloci, sotto pressione per l’idea di dover essere sempre e ovunque presenti, affaccendati da cose a volte inutili, sottovalutiamo il nobile sentimento dell’amicizia, che alcuni vedono come un impiccio per il raggiungimento dei propri obiettivi.
Non stiamo però parlando – va detto – di un gran numero di rapporti da coltivare. Secondo vari esperti una persona intrattiene mediamente cinque amicizie di quelle «vere». Tra questi, l’antropologo Robin Dunbar sostiene, oltre all’esistenza di diversi livelli di relazione (dal conoscente all’amico intimo), che riflettono il grado di intimità e la frequenza dei contatti, quella di un limite cognitivo che determina il numero di persone che possiamo ospitare in ciascun livello. Se, come detto, gli amici intimi sono mediamente 5, quelli «buoni» sono 15 e circa 50 i «generici» amici. Secondo Dunbar, 150 è il numero totale di relazioni che i nostri cervelli sono in grado di gestire.
Nel suo studio condotto presso l’Università del Kansas e pubblicato sulla rivista «Journal of Social and Personal Relationships», il professor Jeffrey Hall è partito dal lavoro di Dunbar per quantificare il tempo trascorso insieme che occorre per passare da un livello all’altro. Il risultato, in sintesi? per arrivare a considerare qualcuno un amico servono almeno 100 ore di condivisione, 200 per passare al livello dell’amico intimo.
Il tempo trascorso insieme però non è garanzia di amicizia. Di fatto, Hall riporta che alcuni soggetti partecipanti al suo studio hanno riferito di avere trascorso centinaia di ore con determinate persone, senza che queste diventassero più che conoscenti. Ciò dimostra che il modo in cui si sta assieme è pure decisivo per influenzare il grado di vicinanza. In particolare, sono le conversazioni personali significative e i momenti di divertimento ad essere risultati determinanti nella creazione di un vero legame di amicizia. La conclusione cui giunge lo studioso conferma quindi quanto scritto in precedenza: viviamo in un’epoca in cui abbiamo la percezione di non avere mai tempo, ma le nostre amicizie, se vogliamo che siano tali, necessitano proprio di tempo e di impegno.
L’amicizia non è infatti qualcosa che ha a che fare unicamente con la spensieratezza di un aperitivo o di un giro per i negozi. Come un rapporto d’amore ha bisogno di cura, attenzioni, confronto e comprensione. In poche parole va coltivato. E per farlo bisogna essere disposti a rallentare, per andare oltre a tematiche quali quello che si è fatto o che si deve fare, e palare di sé, del modo in cui si vive ciò che si fa. L’amicizia vera trova infatti il proprio nutrimento nell’intimità e nella condivisione. Nella realtà dei fatti spesso nei rapporti si resta ad un livello superficiale. Vedere un amico coincide con un’occasione per evadere dalla propria routine, rilassarsi, ridere e scherzare; il che va bene, ma se si parla di vera amicizia, questa deve anche essere in grado di raggiungere una certa profondità.
Parlando di rapporti che restano superficiali, non si può fare a meno di soffermarsi su quelli che intratteniamo sui social, i quali ci danno la sensazione, illusoria, di essere circondati da amici. Buona parte dei contatti sono però piuttosto conoscenze, che ci intrattengono e consentono di passare dei momenti piacevoli. In questo senso i social vanno sicuramente bene, come pure per mantenere i contatti, ma non devono assolutamente sostituire una telefonata o un’uscita con chi consideriamo amico.
Con il passare degli anni, in genere, il numero degli amici diminuisce. Secondo dei ricercatori finlandesi che hanno effettuato uno studio nella sezione Experimental Psychology della Oxford University, il picco delle amicizie si raggiunge a 25 anni. Dopo questa età, i rapporti sociali diminuiscono, gradualmente. Uno dei motivi può essere individuato nel lavoro; è infatti attorno a questa età che, sovente, si comincia a lavorare e si investono quindi molte energie in questo ambito. Secondo motivo la famiglia, che mediamente si inizia a creare attorno alla trentina e che riduce il tempo da dedicare alle amicizie, oltre a comportare un cambiamento a livello di priorità. Parallelamente allo spostamento del focus sull’asse lavoro-casa-famiglia, si modifica pure la concezione che si ha dell’amicizia. Da giovani l’amicizia è tutto, è anche più importante dell’amore. Soprattutto per le ragazze, che con le amiche condividono tutto e vivono una grande empatia. Superati i 30 anni invece diventa difficile trovare tempo per sé stessi e tempo da condividere con gli altri, oltre al fatto che, complici le esperienze vissute, si diventa più diffidenti. Per questi motivi in età adulta in tema di amicizie la qualità prevale sulla quantità. Anche se non si può generalizzare, nel senso che con il passare del tempo taluni rapporti si possono intensificare, è pur vero che molti sono quelli che si interrompono. Spesso le persone non evolvono allo stesso modo oppure cambiano quando affrontano esperienze di vita importanti e capita quindi che ci si stacchi dalle amicizie storiche per avvicinarsi e creare dei legami con persone con le quali in quel dato momento c’è una condivisione di esperienze.
L’amicizia quindi si modifica lungo le fasi che attraversiamo nella vita, parallelamente ai cambiamenti delle nostre priorità, del nostro modo di pensare e di interagire. Capita così che, verso i 50 o i 60 anni, quando il lavoro si è «stabilizzato» e i figli sono cresciuti, l’importanza che si dà all’amicizia riprenda vigore ed emerga la voglia di rimettersi in gioco, abbassando il livello di diffidenza ed aumentando quello della fiducia. Consci forse del fatto che gli amici sono, in fondo, la «famiglia» che si sceglie di avere, la quale arricchisce alla nostra vita.