Sport - È stata una delle prime a fermarsi, ma c’è da credere che l’attività sportiva sarà una delle ultime a ripartire
Se penso all’orizzonte odierno del mondo dello sport, mi tornano alla mente alcuni inquietanti versi di Giosuè Carducci: «Stormi d’uccelli neri, com’esuli pensieri, nel vespero migrar».
Sono passati 77 giorni dal primo contagio in Ticino. Era il 25 febbraio, martedì grasso, e il Cantone ancora non aveva metabolizzato la vicenda che stava cambiando il mondo. La polemica «carnevale sì, carnevale no» sarebbe scoppiata solo a Rabadan concluso, inducendo l’autorità cantonale a bloccare il Carnevale ambrosiano.
Su scala planetaria, lo tsunami Covid-19 non era molto più vecchio: il 23 gennaio, la città cinese di Wuhan veniva messa in isolamento; otto giorni più tardi si verificavano i primi contagi in Italia. Il mondo dello sport aveva reagito con prontezza, soprattutto dalle nostre parti. L’ultimo derby della storia fra Lugano e Ambrì Piotta era andato in scena a tribune deserte, solo quattro giorni dopo il primo contagio. Da lì abbiamo assistito a un progressivo susseguirsi di rinvii e di annullamenti, di cui abbiamo già ampiamente scritto. Oggi si agisce su due fronti. C’è ancora chi punta sul virtuale e sull’online. Ad esempio Mark Cavendish, col suo connazionale Luke Rowe, ha scalato gli 8848 metri dell’Everest, da casa, sui rulli. Sì, proprio lui, Cannonball, il velocista che nel ciclismo reale si stacca ad ogni cavalcavia. D’altro canto, chi gestisce lo sport sta giustamente pensando alla ripartenza. L’impressione che si coglie, sfogliando giornali e riviste, ed esplorando siti, è che la parola-chiave sia disorientamento.
Non ci sono idee chiare, manca una visione globale, ognuno pensa al proprio orto, nessun massimo organismo mondiale è in grado di tracciare un percorso sicuro e sostenibile. È una constatazione, non un’accusa. Sono consapevole del fatto che l’impresa sia titanica. Sta di fatto che, ogni giorno che passa, la situazione diventa sempre più drammatica, soprattutto dal punto di vista finanziario.
Mi sorge spontanea una domanda. La ripartenza dello sport è prioritaria? Una domanda che mi potrei porre anche per tutto quanto attiene alla cultura e al turismo. Rispetto al poter disporre di cibo, casa, igiene, abiti, cure adeguate, tutto il resto scivola in secondo piano. Si può sopravvivere senza andare in vacanza a Miami o ad Acapulco; senza entrare al LAC per ascoltare la Nona di Beethoven, o vedere il Re Lear di Shakespeare; senza vibrare a Cornaredo, alla Resega o alla Valascia per le prestazioni dei nostri beneamati. Appunto. Si può sopravvivere.
Ci sono infatti due aspetti che mi spingono ad auspicare una resurrezione, se possibile rapida e sicura, di sport, cultura e turismo. In primo luogo perché l’essere umano non è solo una macchina che si limita a respirare, nutrirsi, dormire, svegliarsi, e via di seguito. Siamo un distillato di corpo, anima, mente, emotività. Abbiamo bisogno, di leggere, ascoltare, viaggiare, amare, emozionarci, commuoverci, confrontarci. Abbiamo bisogno anche di sport, cultura e turismo. Senza dimenticare che questi ambiti sono importantissimi anche dal punto di vista economico e finanziario.
Oggi riaprono, oltre alle scuole, anche bar, ristoranti, alberghi, musei e biblioteche. Sia pure nel rispetto delle misure igieniche e del distanziamento sociale, da oggi si potrà recuperare una buona fetta della perduta normalità. Lo sport, invece, è ancora in alto mare, poiché manca una visione unitaria. Ed è impossibile che ci sia. Anzitutto, ogni nazione, ogni federazione, ogni disciplina sportiva, è confrontata con le proprie specificità di fronte al Covid-19. Prendete, ad esempio, il calcio: alcune nazioni, come Francia e Olanda, hanno già archiviato la stagione; la Swiss Football League è profondamente indecisa e dovrebbe fornire in giornata delle indicazioni; la Bundesliga auspica un’imminente ripresa; in Italia la Lega calcio spinge per una rapida ripartenza, ma lo fa con i venti rappresentanti delle società riuniti in conferenza online. Insomma, non si ha il coraggio di convocare venti dirigenti in un’ampia sala, ma si pretende che da un giorno all’altro ventidue calciatori, arbitri, assistenti, panchinari, allenatori, massaggiatori e accompagnatori mescolino il loro sudore e la loro saliva, a volte anche il loro sangue, in un contesto in cui è praticamente impossibile rispettare le prescrizioni relative al distanziamento sociale.
Il ministro tedesco degli Interni e dello Sport, Horst Seehofer, ha dichiarato che «le società dovranno rispettare le regole, non ci sarà alcun privilegiato. Se ci fosse un caso all’interno dei club, le persone implicate andranno in quarantena per due settimane». Immaginate la scena! Il 16 giugno risulta positivo Robert Lewandowski, ed ecco che tutto il Bayern Monaco si ritrova segregato. Il 19 giugno stessa sorte per Manuel Akanji e per i suoi compagni del Borussia Dortmund; infine, pochi giorni più tardi tocca a Denis Zakaria, e ai suoi colleghi del M’gladbach.
Ovviamente auguro salute eterna a tutti, ma quello descritto non è un fantascenario. Che campionato ne scaturirebbe? Sorvolo sulla questione pubblico, sulle tribune desolatamente deserte, un fattore che snaturerebbe alla radice il fenomeno calcio, e che non consentirebbe ai Club di risolvere i problemi di liquidità, che si sono venuti a creare dopo la diffusione del virus. A meno di rivoluzionare il sistema di fruizione del fenomeno calcio attraverso le Pay TV. Ma sarebbe un’opzione di difficile attuazione, visto che sono in vigore dei contratti di diffusione, e che nessuno dei detentori sarebbe disposto a perdere i propri diritti.
Il primo importante evento planetario in cartellone è il Tour de France, che dovrebbe andare in scena dal 29 agosto al 20 settembre. Ebbene, ci sono paesi in cui solo da pochi giorni è scattata l’autorizzazione di tornare in sella a una bici, ma non in gruppo. Si ha l’impressione, se non la certezza, che le regole di igiene e di distanziamento sociale ce le porteremo appresso ancora per parecchi mesi, probabilmente fino alla scoperta di un vaccino efficace.
Fino ad allora, la vedo dura per il calcio, così come per l’hockey svizzero che conta di tornare in pista a settembre. La vedo durissima per il ciclismo e il suo oceanico seguito di pubblico difficilmente gestibile. Vorrei sbagliare. Me lo auguro. Ma nella mia mente gli uccelli neri del Carducci, si sono trasformati negli inquietanti gabbiani di Alfred Hitchcock.