L’autoritratto non è un selfie

by Claudia

Fotografia - Tra gli strumenti molto utili per eseguire uno scatto di noi stessi troviamo certamente il cavalletto,che però non basta a immortalare la nostra immagine così come vogliamo mostrarla

Mettiamo subito in chiaro: con questo articolo andremo solo a sfiorare l’argomento selfie, una tematica che meriterebbe senz’altro un approfondimento a sé, da fare però più pertinentemente con un taglio sociologico, se non psicologico, piuttosto che fotografico. In realtà, l’arte dell’autoritratto ha tutt’altro spessore e rilevanza rispetto a quegli autoscatti che ci vengono troppo spesso somministrati.
All’inizio strettamente derivato dalla tradizione pittorica, l’autoritratto fotografico col XX secolo si è da questa emancipata facendosi specchio, con la sua poetica, delle nuove tendenze artistiche – di cui sarà anche grande ispiratrice – e assorbendo gli sviluppi in atto nell’ambito scientifico, psicologico e filosofico. L’innovazione tecnologica non fu da meno nel permettere alla fotografia l’esplorazione di nuove prospettive.
Con l’autoritratto, partiamo da noi stessi per dare non solo una descrizione fisica della nostra persona in un dato preciso momento ma, soprattutto, per inscrivere in tale rappresentazione aspetti nostri più reconditi, che siano questi d’ordine interiore ma anche attinenti alla nostra condizione esistenziale, al nostro stare nel mondo e alle riflessioni che su questi portiamo. Possiamo in un qualche modo considerare l’autoritratto alla stregua di uno scritto autobiografico, in cui dipanare pensieri, sentimenti, stati d’animo, prese di posizione, avvalendoci dell’ingegno retorico e delle colorazioni stilistiche che meglio si prestano allo scopo.
Proprio in questo senso, per la sua fondamentale ovvietà, il selfie con questo discorso ha ben poco a che vedere. Se il selfie è una più o meno luccicante e piatta cartolina a colori, di ricordi e saluti, l’autoritratto in confronto è, metaforicamente parlando, un paesaggio tridimensionale, con le sue profondità, volumi, varietà di luci e di materie, che può portare a chiederci e a immaginare cosa s’insinui in quelle sue zone oscure, cosa si trovi oltre quei colli stagliati nello sfondo… In effetti, diciamocelo, tante volte ciò che conta non è quel che si vede, ma piuttosto quel che si lascia intuire.
L’autoritratto, mi ricordo, era stato il primo esercizio che ci venne proposto quando, decenni or sono, cominciai la mia formazione in fotografia. L’intento era quello di farci ragionare su come trasformare in immagine ciò che pensavamo di noi stessi, e dunque di confrontarci con il potenziale linguistico ed espressivo del mezzo fotografico e con i suoi limiti – mai assoluti ma sempre, a ben studiare, oltrepassabili. I risultati assolutamente eterogenei dei diversi studenti con cui condividevo il corso ci diedero un primo panorama delle vaste e impensate possibilità che questo mezzo ci avrebbe potuto prestare. Oggi, questo esercizio lo propongo a voi.
Da dove cominciare? Se a corto d’ispirazione, un valido aiuto lo potrete trovare sfogliando un buon libro di storia della fotografia – che, se già non avete, vi consiglio caldamente di acquistare. In esso troverete di sicuro tanti esempi di come l’autoritratto sia stato affrontato da vari fotografi. A partire da quello celebre di Hippolyte Bayard, in guisa d’annegato, o con le serie, ironiche – per non dire sarcastiche – di Cindy Sherman. O quelli surrealisti di Man Ray. I contesti di vita underground di Nan Goldin, le ombre e i riflessi specchiati di Lee Friedlander. I frammenti del corpo di John Coplans o gli spazi interiori di Francesca Woodman, e così via. Sono solo pochi e celebri esempi di come la fotografia sia stata impiegata per raffigurare sé stessi e il proprio mondo, ma ne potrete trovare tanti altri, sorprendenti, talvolta geniali. Tra parentesi, non credo ci sia fotografo che prima o poi non si sia confrontato con tale impegnativo compito.
Questo per quanto concerne l’impostazione formale da dare all’autoritratto. Da un punto di vista invece più pratico, ci sono degli strumenti che, anche se non sempre e in assoluto necessari, vi possono facilitare di molto il compito. Il primo tra questi è il cavalletto. Chiaramente, la macchina fotografica potete sempre appoggiarla su qualche sostegno – un tavolo, una mensola, il tetto o il cofano di un’automobile o anche per terra – sta di fatto che un cavalletto vi darà modo di posizionare facilmente la macchina fotografica nel posto col punto di vista migliore da voi scelto per realizzare l’immagine.
Un altro strumento molto utile è lo scatto a distanza. Composto, un tempo, da un cordoncino dotato al suo interno di un filo metallico e di un pulsante all’estremità, oggi, con le apparecchiature elettroniche, consiste perlopiù in un telecomando con cui poter comodamente azionare lo scatto anche a distanza di parecchi metri. Certo, la sua mancanza può venir supplita, nel caso in questione dal meccanismo di scatto ritardato – o altrimenti, perché no, chiedendo a qualcuno di eseguire lo scatto: pur sempre di autoritratto si tratterebbe. Sta di fatto che con un telecomando possiamo decidere noi il momento esatto in cui scattare, e volendo, scattare più volte senza doverci muovere dalla posizione scelta.
Utile anche la possibilità di tenere sott’occhio la situazione, magari con uno specchio, ma ancora meglio, per poter verificare sul vivo l’inquadratura con noi stessi al suo interno, collegando la macchina fotografica a un monitor – ad esempio, a un computer portatile – rivolto verso di noi. Potremmo persino pensare di lasciare quello schermo all’interno dell’immagine, mettendo in questo modo in evidenza la struttura del dispositivo di ripresa.
Per questo tipo di fotografia avrete il soggetto – è il caso di dirlo – sempre a portata di mano. Vi potrete sbizzarrire in tantissimi modi. Come per una pièce teatrale, si tratterà dapprima di concepire in dettaglio la scena – ampia, contestuale, complessa, oppure più focalizzata sulla vostra figura, magari riprendendo anche solo dei frammenti del vostro corpo. Previsualizzate l’immagine che volete realizzare, cercate il luogo, le luci, gli accessori, le posizioni migliori e gli eventuali artifici tecnici da adottare, per poi tradurla in uno o più scatti. Immergetevi nella parte, alla stregua di un attore. Recitate o siate naturali, corazzati o vulnerabili: tali a un diario, non saranno comunque, queste, delle fotografie da mostrare necessariamente a tutti – e magari proprio a nessuno. Date allora libero sfogo alla fantasia e al vostro bisogno di esprimervi: chissà, potrebbe anche divenire un’utile pratica per conoscervi meglio.