Tra giornali, giornalisti e giornalai

by Claudia

Sport - I fragili equilibri su cui si dipana la critica in ambito sportivo

Si fa in fretta a passare da eroe a traditore, da genio a imbecille. E viceversa. Questo vale, per rimanere nell’ambito sportivo, sia per atleti e allenatori, sia per i giornalisti.
Per chi pratica sport a livello professionistico, il confine fra il bene e il male è molto sottile. Pensate a cosa è stato detto e scritto giovedì 15 novembre, l’indomani dell’imprevedibile sconfitta della Nazionale elvetica di calcio, a Cornaredo, contro il Qatar. Il selezionatore Vlado Petkovic, così come i suoi ragazzi, sono stati fatti a pezzi, sia dalla critica ufficiale, quella che si manifesta attraverso i Media tradizionali, sia dalla vox populi.
Molti addetti ai lavori, ma anche parecchia gente comune si è ritrovata a pronunciare frasi del tipo: «io lo avevo detto che quello lì non era al posto giusto», «è un sopravvalutato», «la squadra non ha gioco, non ha idee», «non se ne può più di questi giocatori che manco escono dal campo con la maglia sudata». Passano quattro giorni e i Rossocrociati scendono in campo a Lucerna, alla caccia della vittoria di gruppo nella neonata Nations League e della conseguente qualificazione per le Final Four, in programma nel giugno del prossimo anno in Portogallo. L’impresa non è facile. Avversario della nostra Selezione è il Belgio, terzo ai recenti mondiali in Russia, e primo nel Ranking FIFA.
Dopo 17’ la Svizzera è sotto di due gol. Normale. Contro una squadra che schiera stelle di caratura mondiale come i fratelli Hazard, Mertens e Courtois, c’è poco da fare. Tanto più che gli Elvetici palesano lo stesso atteggiamento abulico e irritante della partita precedente. «Ce lo si poteva aspettare»; «lo si sapeva che Petkovic le partite da dentro o fuori le sbaglia tutte»; «del resto, con quella squadra, dove vuoi che si arrivi». Tutto ciò per citare solo una minima parte di ciò che il senso della decenza concede di scrivere su questa pagina. Poi però, alla mezz’ora, la svolta, il crescendo, il miracolo. Rodriguez trasforma il calcio di rigore dell’1 a 2. Nel sacco ci finiscono pure i palloni del pareggio e del sorpasso, ancora prima della pausa. Nel secondo tempo tutto continua a girare come se la Nati fosse sotto incantesimo. La porta belga viene profanata una quarta volta, da Nico Elvedi, che riscatta l’errore commesso in occasione della prima rete degli ospiti, e una quinta volta a opera di Haris Seferovic. È la terza rete personale per l’attaccante del Benfica, che faceva parte della straordinaria nidiata di talenti che nel 2009 aveva conquistato il titolo mondiale U17. Pochi secondi prima del triplice fischio finale, Mister Petkovic lo toglie dal campo per consentire al pubblico dell’Allmend di tributargli la meritata standing ovation. E così, un ragazzo che un anno prima aveva lasciato il Sankt Jakob Park di Basilea sommerso dai fischi, nel giro di un’ora, si ritrova nei panni di un eroe.
La memoria è di per sé labile, in ambito sportivo lo è ancora di più. «Vlado è un grande»; «nessuno sa leggere le partite meglio di lui»; «Shaqiri è un fenomeno»; «Xhaka è il regista difensivo ideale»; «Con Seferovic abbiamo trovato il bomber che cercavamo». Ovvero: come rimangiarsi la parola in quattro giorni. Da parte di chi lo aveva flagellato sui social e nei bar. Da parte di chi lo aveva crocefisso, anche sulle pagine dei media tradizionali. Intendiamoci, ci può stare. Il cambiamento di prospettiva e di opinione è segnale di elasticità e di vivacità mentale.
Questa virata a 180 gradi viene vista con autoindulgenza da parte degli stessi naviganti da social, ma non viene perdonata ai rappresentanti dei media, ai cosiddetti «giornalai», come vengono definiti sovente con disprezzo, i quali, a detta di molti fruitori, dovrebbero limitarsi a raccontare i fatti. Ecco quindi che, dovendo giustificare l’imbarazzo scaturito dalla prestazione stellare dei Rossocrociati, e non potendo esimersi dall’esaltarla e magnificarla, l’osservatore medio sfoga la sua frustrazione (così immagino) per le sue precedenti errate valutazioni, su chi invece, secondo lui, di giudizi sbagliati non ne dovrebbe fornire. Semplicemente perché il giornalista non ne avrebbe il diritto. 
Troppo facile metterla via così. Il pubblico può permettersi di distruggere e di ricostruire, di criticare e di osannare, e i giornalisti no? Non ci sto. Rivendico il diritto alla critica, all’errore, e, se necessario, al mea culpa. Dopo la disfatta contro il Qatar era lecito mettere a nudo le pecche della squadra, in modo anche pesante, sia pure nel rispetto delle buone maniere. Così come dopo il trionfo contro il Belgio era più che doveroso togliersi il cappello e inchinarsi, per rendere omaggio a una delle prestazioni più esaltanti della Nazionale Svizzera. Tutti: tifosi, giornalisti… e giornalai.