Medicina - La Fondazione Hospice Ticino è confrontata con un nuovo approccio che tiene conto del Covid-19
Sembra una mattina come tante, siamo alla sede di Bellinzona della Fondazione Hospice Ticino dove incontriamo il direttore Omar Vanoni, l’infermiera consulente in cure palliative Lorenza Ferrari e il medico di famiglia Augusto Bernasconi, pure in forze a Hospice. Da qualche tempo siamo di fronte a un virus che non possiamo toccare, né vedere, ma che aumenta forzatamente le distanze fra le persone, cambia le abitudini di tutti quanti, ma soprattutto obbliga chi presenta patologie complesse, e che sono dunque molto più vulnerabili, a un’osservanza ancora più scrupolosa delle regole di distanza sociale che siamo invitati a seguire.
Questo ci obbliga a condividere importanti e inevitabili considerazioni sull’emergenza pandemica causata dal coronavirus, modificando il nostro vivere e in particolare quello delle persone vulnerabili e di chi deve occuparsi di loro. Un mese fa pare già passato remoto, mentre il presente è in continua evoluzione: viviamo in isolamento, comunichiamo in modo del tutto nuovo e inaspettato per onorare le misure vigenti che riguardano tutti quanti e che impongono che nessuno si tocchi fisicamente. «Anche per noi l’impatto del coronavirus è inevitabilmente arrivato ed è ben presente. Le visite di rivalutazione senza sintomatologia sono state sostituite da regolari contatti telefonici, ad esempio, e questo ci ha permesso di evitare quelle che possiamo gestire attraverso una distanza sociale, da lontano», afferma l’infermiera Lorenza che però puntualizza la disponibilità e l’operatività di visite a domicilio necessarie, durante le quali il paziente necessita di una vera visita clinica e per questo va incontrato: «Prendiamo le dovute precauzioni come del resto siamo già abituati a fare nelle circostanze che lo richiedono correntemente. Ad esempio, ancor prima dell’emergenza coronavirus, rientrata dalle mie vacanze ero raffreddata e per questo andavo a domicilio dei pazienti con la mascherina».
Un senso di responsabilità usuale e acquisito che oggi assume un’importanza assoluta. Il direttore del sodalizio Omar Vanoni conferma e aggiunge: «Le disposizioni oggi in vigore sono in continua evoluzione e noi ci atteniamo scrupolosamente alla loro applicazione, perché la tutela dei nostri pazienti con comorbidità è ancora più importante al momento. In quest’ottica, cercare di evitare le visite non urgenti, o valutate non necessarie dopo colloquio telefonico con il paziente o i famigliari, è una doppia sicurezza di tutela dei pazienti per i quali, altrimenti, potremmo fare da veicolo andando dall’uno all’altro: sono pazienti così complessi che, lo ripetiamo, vanno tutelati con l’attenzione più assoluta».
Egli sottolinea che a maggior ragione pure gli operatori devono limitare il più possibile di contrarre il covid-19: «Se si ammalasse un nostro operatore, dovremmo considerare la quarantena di tutti i componenti dell’équipe e sarebbe un vero disastro per assicurare l’assistenza necessaria ai nostri pazienti». A questo punto abbiamo dato voce anche al medico di famiglia Augusto Bernasconi (pure medico Hospice) che racconta: «Con le colleghe infermiere il mio compito è quello di seguire, insieme al medico curante e a un servizio infermieristico a domicilio, quei pazienti che presento malattie croniche evolutive gravi e che desiderano, potendo, rimanere a casa».
Si tratta proprio, come dicevamo con i nostri interlocutori, di quei pazienti oggi maggiormente a rischio in caso di contagio con il coronavirus. «Assicuriamo da anni un importante lavoro di coordinamento e di consulenza in cure palliative, offriamo un picchetto dedicato a questo sostegno 24 ore su 24, in collaborazione con alcuni generosi medici di famiglia», riassume il dottor Bernasconi, evidenziando che purtroppo anche in questo ambito di visite infermieristiche a domicilio c’è un «razionamento» a causa dei rischi insiti in questa che egli definisce «una sordida malattia infettiva. Manteniamo comunque attenzione e vicinanza attraverso contatti telefonici o tramite costanti comunicazioni in posta elettronica e, quando necessita, con visite al domicilio del paziente», ribadisce.