Roma fa da tramite fra Usa-Cina

by Claudia

La via di Pechino in Europa – L’Italia è diventata un tassello rilevante nella competizione tra Stati Uniti e Cina dopo la firma Roma del memorandum di adesione alla Belt and Road Initiative

Il viaggio del presidente cinese Xi Jinping in Italia, Principato di Monaco e Francia, tra il 21 e il 26 marzo scorsi, è stato un esempio di come la Repubblica Popolare giochi ormai una partita geopolitica a tutto campo, Europa inclusa. Obiettivo: controbattere la percepita aggressività di Washington e penetrare l’impero americano dall’interno, in vista dell’affermazione della Cina come prima potenza mondiale entro il 2049, centenario della Repubblica di Mao.
Per questo progetto di lungo termine Xi ha battezzato nel 2013 la Belt and Road Initiative – o Nuove vie della seta – che mira a promuovere la connessione fra Europa, Africa e Asia. Si tratta di una strategia a più facce. In primo luogo quella economico-commerciale, di dimensioni inedite: fra 2014 e 2018 la Cina ha finanziato 448 miliardi di dollari di investimenti e contratti di costruzione in 64 paesi che hanno aderito all’iniziativa. Per quest’anno se ne prevedono altri 117. La maggior parte dei soldi sono finiti in Estremo Oriente (51%), una quota rilevante in Asia occidentale (29%), in Europa solo il 10%. Si tratta di porti, retroporti, ferrovie, strade, aeroporti e quant’altro contribuisca allo scambio di merci lungo percorsi transcontinentali.
L’Italia è stata da subito un obiettivo delle nuove vie della seta, grazie alla sua posizione di molo naturale al centro del Mediterraneo. Le inefficienze e lo scarso coordinamento politico hanno impedito all’Italia di essere subito oggetto di investimenti nei suoi porti, come avrebbero voluto i cinesi. Sicché Pechino ha scelto il Pireo, in Grecia, come hub mediterraneo orientale. Ma ha continuato a puntare anche gli scali dell’Alto Mediterraneo, tra cui Trieste e Genova, quest’ultimo principale approdo italiano che via Svizzera e Germania ambisce a erigersi a sottohub di Rotterdam, il grande porto olandese cui ancora oggi punta la maggior parte delle navi in transito fra Asia ed Europa. I servizi e le attrezzature di Rotterdam e degli altri porti del Nord Europa permettono una connessione diretta al mercato tedesco che li rendono tuttora convenienti, malgrado i 5 giorni di navigazione in più richiesti alle navi in provenienza da Suez o dirette da quello strategico canale verso l’Asia.
Ma per Pechino la strategia non è solo commerciale. Si tratta di tessera la tela di una vera e propria sfera d’influenza geopolitica, anche con la costruzione di basi militari e di centrali d’intelligence in territorio estero, compreso l’impero europeo dell’America formato dall’insieme Nato-Ue. Alla notizia del viaggio di Xi in Italia Washington ha reagito minacciando rappresaglie contro Roma. Per almeno tre ragioni: il Memorandum of Understanding poi firmato dai governi italiano e cinese ha un evidente sapore geopolitico, financo ideologico, malgrado non sia un trattato vincolante; la penetrazione di compagnie cinesi come Huawei, leader nel 5G, nelle reti italiane espone un paese Nato nel quale la presenza militare americana resta visibile e rilevante allo spionaggio del principale rivale; il porto di Trieste, formalmente italiano, è per gli Usa uno snodo strategico in chiave di contenimento dell’influenza russa e ormai anche cinese nell’area adriatico-balcanico-mitteleuropea.
Alla fine, gli Stati Uniti hanno ottenuto una riduzione degli accordi economici italo-cinesi, già non di formidabile entità (forse 2-3 miliardi di dollari), e un annacquamento del Memorandum of Understanding. Ma la crisi con Roma resta. Future rappresaglie sono possibili, via riduzione dello scambio di intelligence o addirittura una revisione al ribasso da parte delle agenzie di rating di marca Usa della credibilità dei titoli di Stato italiani.
La visita di Xi avrebbe dovuto comprendere anche un incontro informale con papa Francesco, probabilmente a Palermo, ma è saltato, anche qui per le combinate pressioni di una parte della Curia e di Washington.
L’Italia è incorsa anche negli strali della Commissione Europea, che ha stabilito come la Cina sia da considerare un «rivale strategico». L’incontro di Xi Jinping con Emmanuel Macron, in Francia, ha avuto infatti un tratto molto più pragmatico. Senza sbandierare inesistenti solidarietà strategiche, i due leader hanno parlato di intese economiche e commerciali utili ad entrambi. Germania, Francia, Inghilterra e Svizzera sono state oggetto in questi anni di investimenti cinesi ben superiori rispetto a quelli ottenuti dall’Italia, ma hanno evitato, ed eviteranno sempre più, di vestire con colori geopolitico-ideologici le rete finanziaria e commerciale tessuta con Pechino. Per la maggiore tranquillità di Washington.