«Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che si sa o che si tace, che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero e coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero». Così Pier Paolo Pasolini definiva sulle pagine del «Corriere della Sera», il 14 novembre 1974, il mestiere dell’intellettuale. Ma a tanti anni di distanza la definizione è ancora attuale? Tanti studiosi pronosticano la morte di questo ruolo, insieme alla morte della modernità, della storia, della politica, della verità e delle ideologie. Altri sostengono che dell’intellettuale come «coscienza critica» ce ne sia ancora bisogno e che la sua estinzione minerebbe la democrazia. Una figura, oggi, dal profilo sbiadito, ambiguo. Un termine talmente abusato, da risultare quasi insignificante.
È da poco uscito dall’editore Raffaello Cortina, un libro di Franco Brevini: Abbiamo ancora bisogno degli intellettuali? La crisi dell’autorità culturale. Al centro dell’indagine di Brevini, storico della letteratura e critico letterario (e valente alpinista), ci sono alcuni temi fondamentali del dibattito contemporaneo, come il tramonto degli intellettuali, la disfatta della scuola, i social e le nuove tecnologie. La disintermediazione caratteristica della rivoluzione informatica, insieme alla disponibilità di sconfinati giacimenti di conoscenza a portata di click, ha assestato il colpo di grazia al vecchio edificio della conoscenza. Nel libro si discute di crisi dell’autorità culturale e disfatta della scuola. E, alternando riferimenti storici a concreti esempi tratti dalle cronache di ogni giorno, emerge tutta la preoccupazione per l’avanzata dei social network e il dominio del digitale, terreno fertile per una conoscenza sempre più veloce e per questo distratta ed effimera.
Brevini coglie l’occasione per spiegare cosa intende per intellettuale: «L’intellettuale è una figura moderna, che nasce nella seconda metà dell’Ottocento ai tempi dell’affaire Dreyfus. Da allora è diventato sinonimo dell’uomo di cultura. Ma uno dei punti che mi sembrano rilevanti nel mio discorso è che io vado oltre il tormentone novecentesco degli intellettuali e affronto il rapporto tra i colti e chi non lo è, risalendo all’Antichità. Questo mi serve per far capire che il conflitto non è nato ieri, che talune gerarchie privilegianti l’eccellenza, l’elezione, la qualità, rispetto a ciò che vi si contrappone, sia esso la quantità o l’ugualitarismo, hanno una lunga storia».
Per contrasto, torna alla mente un saggio di Tomás Maldonado, Che cos’è un intellettuale edito da Feltrinelli nel 1995, dove gli intellettuali vengono dipinti come dei guerriglieri della penna: «Per eterodossi si deve intendere tutti coloro che, in un modo o nell’altro, agiscono in contrapposizione ai dogmi, ai corpi dottrinali, ai modelli di comportamento, agli ordinamenti simbolici, e anche agli assetti di potere esistenti. Tutta gente che voleva fare cose nuove. Ribelli, oppugnatori, antagonisti, trasgressivi, insomma dissidenti per vocazione, e in certi casi apertamente eversivi, rivoluzionari. La tradizione degli eterodossi è sicuramente la tradizione degli intellettuali».
Del resto, l’intellettuale si porta dietro la scomunica inflittagli nel 1927 dal filosofo francese Julien Benda: Il tradimento dei chierici. Il titolo del libro è divenuto emblematico per indicare l’atteggiamento fazioso degli intellettuali che rinunciano alla loro funzione più elevata di guide super partes. Ancora oggi, il testo rappresenta un riferimento imprescindibile nelle discussioni sul ruolo degli intellettuali nella società, sulla crisi della civiltà occidentale e sulla decadenza della cultura. A partire dagli ultimi decenni del XIX secolo, i «chierici» hanno cominciato a schierarsi nelle lotte politiche, propagandando dottrine pericolose come il nazionalismo, il razzismo, la lotta di classe o le «filosofie sociali» di Nietzsche e Sorel.
Secondo Brevini, la pandemia ha ridefinito gli equilibri del mondo e sembra avere riaperto nuove chance al sapere e alle élite. Purché l’intellettuale sappia riconquistare il suo antico e fondamentale ruolo di cultore dell’eccellenza.
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