L’arte del «giocattolo progressista»: ovvero, come, nel lontano 1905, il Ticino vide la nascita delle bambole moderne e «a misura di bambino» per mano di Käthe Kruse
Nel dicembre del lontano 1904, la ventunenne Katharina «Käthe» Simon, nativa della Polonia, viveva ad Ascona con le figlie Maria, di due anni, e la neonata Sofie, interessandosi alla rivoluzione artistica del vicino Monte Verità. La giovane si era da poco stabilita in Ticino, dopo aver attraversato in solitaria parte dell’Europa mentre il proprio compagno (nonché padre delle sue bambine), il celebre scultore Max Kruse, rimaneva a Berlino a occuparsi della carriera. E certo all’epoca Käthe, che fino a quel momento aveva calcato i palchi europei come attrice teatrale, non poteva immaginare quanto il proprio futuro sarebbe stato condizionato dal periodo trascorso in Ticino.
Quel Natale, infatti, Maria chiese in regalo una bambola; una richiesta tutt’altro che semplice da soddisfare, poiché, quando Max si avventurò nei migliori negozi berlinesi alla ricerca di una «puppe» adatta a una bambina piccola – morbida e gradevole, da poter stringere e abbracciare facilmente – rimase molto deluso: realizzate esclusivamente in porcellana, le bambole in vendita gli parvero fredde e rigide, al punto da suggerire a Käthe di disegnarne lei stessa una per la figlia. La prima bambola così creata a inizio 1905 – realizzata con un asciugamano riempito di sabbia, sovrastato da una patata a mò di testa – entusiasmò profondamente Maria e Sofie; e sarebbe stato solo il primo di molti, sempre più elaborati esperimenti.
Il momento di svolta giunse nel 1910, quando i grandi magazzini Tietz di Berlino (ove la famiglia si era appena riunita) offrirono alla Kruse la possibilità di esporre i suoi giocattoli artigianali: le bambole di Käthe, perfetto esempio del nuovo ideale di «educazione progressista» in voga in quegli anni, ottennero il plauso del pubblico, meravigliato dal fatto che le creazioni della giovane madre non riproducessero visi adulti (come accadeva con le abituali bambole in porcellana) ma, piuttosto, infantili – permettendo così ai bambini di identificarsi in esse e soddisfacendo i precetti pedagogici del tempo.
Il nuovo sentiero professionale di Käthe era ormai tracciato: un percorso quasi obbligato, che, nel 1911, la portò a compiere il grande passo e fondare la Käthe Kruse GmbH, con sede nella propria abitazione berlinese. Una piccola ditta a conduzione famigliare dedita alla produzione di bambole – tutte rigorosamente cucite e dipinte a mano dalla stessa Käthe nel salotto di casa. Bambole che, nelle intenzioni della creatrice, avrebbero sempre dovuto mantenere lo spirito genuino e «a misura di bimbo» dei primi esperimenti artigianali; perché, come la Kruse affermò, «la mano segue il cuore, e solo la mano può dar vita a ciò che farà comunque capo al cuore».
Tuttavia, la fama di Käthe ormai la precedeva: bastarono i primi, corposi ordini di bambole dagli Stati Uniti a dimostrare come fosse ormai necessaria una produzione su larga scala, e a spingere la Kruse a fondare un proprio stabilimento nella cittadina di Bad Kösen. Un’avventura che non sarebbe stata immune da lotte e ostacoli – come quando Käthe si trovò costretta a fare causa alla ditta Bing, colosso tedesco del settore, reo di aver imitato in modo dozzinale le sue bambole: la vittoria della Kruse avrebbe rappresentato il primo caso di copyright applicato a un giocattolo (1925). Nel frattempo, la famiglia si allargava: alla terza figlia Hanne avevano fatto seguito ben quattro maschi (Michael, Jochen, Friedebald e Max), mentre i Kruse ero infine convolati a giuste nozze. Anche la gestione dell’azienda era intanto divenuta un impegno a tempo pieno, tanto più che le bambole di Käthe già collezionavano riconoscimenti alle maggiori esposizioni internazionali, a partire da quella del 1913 a Ghent (dove si aggiudicarono il Grand Prix), fino alle fiere di Barcellona e Parigi (rispettivamente nel ’29 e ’37).
Fu così che, nel giro di pochi anni, nacque un vero e proprio impero: la compagnia inanellò un successo dietro l’altro, grazie a modelli di bambole sempre più innovativi, ispirati alla mimica e fisicità dei bambini reali (il maggior successo giunse nel 1928 con il primo bambolotto dotato di veri capelli, modellato sulle fattezze di Friedebald). Per alcuni anni, la Kruse si dedicò anche alla produzione di manichini espositivi, impressionanti per il loro aspetto realistico; eppure, anche una volta a capo di una grande azienda, continuò a realizzare artigianalmente ogni singolo pezzo: una bella differenza, rispetto alla produzione di massa dei grandi nomi. Ma la Seconda Guerra Mondiale era ormai dietro l’angolo, e con essa la crisi dei consumi: con l’arrivo dei russi, la cittadina di Bad Kösen si ritrovò a far parte della neonata Germania Est, e l’azienda di Käthe sopravvisse solo grazie all’inaugurazione di due nuove succursali, fondate dai figli Max e Michael a Bad Pyrmont e Donauwörth, e al lancio della bambola «Glückskind» – più economica e, quindi, alla portata delle famiglie impoverite dal conflitto.
Quando la guerra finì, Käthe aveva perso due dei suoi figli, mentre il marito era morto già nel 1942; e fu proprio a questo punto che i numerosi discendenti si dimostrarono cruciali per la salvezza dell’attività. Nel 1958, Hanne prese infatti le redini dell’azienda, traghettandola con successo attraverso il periodo postbellico grazie ad intuizioni quali il lancio di una linea dedicata ai neonati. Da allora, la Käthe Kruse non hai mai ceduto la sua posizione ai vertici dell’arte europea del giocattolo: l’evidente raffinatezza e ricercatezza dei prodotti – ancora oggi realizzati interamente a mano – si è combinata a un evidente appeal popolare, rendendola a tutt’oggi un’azienda unica nel settore.
E chissà se, in quel lontano giorno in cui creò la sua prima bambola con l’ausilio di appena un asciugamano e una patata, la giovane Käthe poteva immaginare il ruolo che il Ticino avrebbe giocato nel «colpo di genio» destinato a sconvolgere la sua intera esistenza – e che, attraverso molteplici generazioni, avrebbe reso il suo nome noto ai bambini di mezzo mondo.