Un festival anomalo, convincono i film in gara

by Claudia

Un’edizione ancora segnata dalle restrizioni pandemiche, bene la Svizzera con due premi e una menzione

L’Orso d’oro alla Spagna, diversi riconoscimenti alla Svizzera e solo uno collaterale all’Italia. È stato un 72esimo Festival di Berlino anomalo, quasi surreale, con una partecipazione limitata, regole molto stringenti per contenere la pandemia e una selezione abbastanza buona, soprattutto da Europa e Asia. Il premio più ambito, tra i 18 lungometraggi in gara, è stato assegnato ad Alcarràs della catalana Carla Simòn, già nota per l’incantevole Estate 1993 del 2017. La famiglia allargata Solé coltiva il podere del titolo da generazioni, da quando il proprietario, il signor Pinyol, gliene aveva dato l’usufrutto come riconoscenza per averlo nascosto e protetto durante la guerra. Ora l’erede vuole sostituire le coltivazioni con un mega impianto di pannelli solari e ha annunciato lo sfratto alla fine della stagione. La fine di un mondo si annuncia nella prima bellissima scena: i tre bambini, capeggiati dalla decisa e fantasiosa Iris, giocano dentro una vecchia automobile quando arriva la ruspa a interrompere tutto. Simon allestisce un dramma familiare in un ambiente rurale, dove c’è posto e affetto per tutti, tra lavoro, giochi, feste, preoccupazioni e tensioni. Il film ci trasporta dentro un microcosmo arioso, minacciato dagli speculatori, dove si può stare tutti insieme pur nelle differenze o nei contrasti.
C’è un sentimento simile, con le ruspe che mettono ai margini i contadini poveri, nel cinese Return to Dust di Li Ruijun, altra pellicola notevole che purtroppo è rimasta fuori dal palmares. Le famiglie impongono il matrimonio combinato al «quarto fratello» e a una donna disabile che nessuno accetta. Cacciati più volte, perché gli edifici vanno demoliti per costruirne di nuovi di maggior valore, mettono in piedi da soli una casa partendo dai mattoni e faticando per coltivare frumento e verdure. Un film asciutto e formalmente impeccabile, con tanti echi del cinema di Ermanno Olmi.
In questa edizione quasi surreale del festival, la Svizzera si è vista assegnare diversi riconoscimenti
La giuria presieduta da M. Night Shyamalan ha assegnato un doppio riconoscimento al tedesco Rabiye Kurnaz vs. George W. Bush di Andreas Dresen: orsi per la sceneggiatura di Laila Stieler e per la travolgente Meltem Kaptan come migliore interprete protagonista.
Meritato l’Orso d’argento gran premio della giuria a The Novelist’s Film del coreano Hong Sangsoo, un autore prolifico già premiato che torna spesso sugli stessi temi e realizza gioiellini con situazioni in apparenza semplici e ripetitive inserendo trovate deliziose.
È un film fresco, surreale e quasi azzardato il bel Leonora addio del novantenne Paolo Taviani, per la prima volta senza il fratello Vittorio, vincitore del Premio Fipresci della stampa. Una doppia vicenda pirandelliana, prima l’odissea decennale delle sue ceneri, poi il suo racconto Il chiodo, passando dal bianco e nero al colore e raccontando con efficacia la Seconda guerra mondiale utilizzando spezzoni di altri film come Paisà.
Buono pure Peter von Kant di Francois Ozon, che ha omaggiato Rainer Fassbinder rileggendone in chiave biografica uno dei capolavori, con Denis Menouchet nella parte del grande cineasta tedesco.
La Svizzera ha ricevuto due premi nella sezione parallela Encounters con Unruhe – Unrest di Cyril Schäublin e À vendredi, Robinson di Mitra Farahani. Il primo ricostruisce il soggiorno nelle valli del Giura, tra le fabbriche di orologi, del geografo russo Pyotr Kropotkin nel 1877 e la sua adesione all’anarchia. Il secondo è incentrato sul dialogo a distanza, una mail ogni venerdì, tra due grandi vecchi del cinema, Jean-Luc Godard e l’iraniano Ebrahim Golestan. Menzione speciale allo svizzero Drii Winter di Michael Koch, dramma sulle montagne del Canton Uri che per atmosfere guarda al capolavoro Höhenfeuer – Fuoco alpino (1985) di Fredi Murer.

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