Il «poi», tra monitoraggio e fisioterapia

by Claudia

Covid - Monitoraggio a corto e lungo termine e riabilitazione: essenziali per chi ha avuto un decorso grave da Coronavirus

Tre malati di Covid-19 su quattro presentano almeno un residuo di sintomi, sei mesi dopo. È il risultato di una ricerca sui pazienti dimessi a Wuhan, che pone interrogativi sulle conseguenze a corto e lungo termine sui guariti dalla fase acuta della malattia. Per ora è il più importante studio condotto a livello mondiale su circa 1700 pazienti dell’ospedale Jin Yin-tan di Wuhan, dove è esplosa la pandemia. Concerne persone dimesse tra gennaio e maggio dello scorso anno e sottoposte a controlli periodici (anamnesi, test e controlli mirati) per tutta l’estate e a 6 mesi di distanza da quando hanno lasciato l’ospedale. Tre quarti di loro presenta almeno un sintomo: stanchezza e dolori muscolari nel 63% dei casi, insonnia (26%), ansia e depressione (23%), ed effetti più seri come problemi renali (in persone che prima avevano un apparato urinario sano) e funzioni polmonari compromesse in coloro che avevano contratto la Covid-19 in forma più severa. 
«Anche all’Ospedale Regionale di Lugano è in corso uno studio di valutazione di pazienti ammalatisi in modo serio e che hanno avuto una polmonite da Coronavirus: una continua raccolta clinica, di esami e dati a 3, a 6 e a 12 mesi dalla dimissione dall’ospedale, che contempla visita del paziente, valutazione della funzionalità polmonare e radiologica con TAC» spiega il pneumologo e primario di medicina dell’ORL Marco Pons, sottolineando l’importanza di studi di follow-up più lunghi in popolazioni più ampie possibile con l’intento di riuscire a capire l’intero spettro di conseguenze che l’infezione da Coronavirus può comportare.
«Al pari dei virus influenzali, il Sars-CoV-2 è un virus in grado di colpire tutti gli organi, pur concentrandosi sulle vie respiratorie superiori e inferiori», esordisce lo pneumologo, portando l’attenzione sulle serie conseguenze del Sars-CoV-2 che, a differenza dei virus influenzali a noi noti, si manifesta pure in un ampio ventaglio di disturbi cardiaci, renali, neurologici, psichiatrici e via dicendo. «Inoltre, il Sars-CoV-2 non colpisce unicamente l’albero tracheo-bronchiale come fanno in genere gli altri virus influenzali, ma danneggia tutto l’apparato respiratorio insinuandosi fino agli interstizi del tessuto polmonare dove avviene lo scambio emato-gassoso». Egli conferma che le ragioni che favoriscono questo meccanismo sono ancora poco chiare, osservando che per colpire così i polmoni il virus necessita del «recettore ACE» insito nel tessuto polmonare con il quale ha particolare affinità. Spesso il decorso individuale di chi si ammala di Covid-19 è un’incognita: «A prescindere da eventuali malattie pregresse e dall’età, il decorso di ciascun paziente può riservare sorprese». Ma qualcosa si sta imparando: «Nei pazienti poco sintomatici le polmoniti sono presenti in misura minore, ma restano fattore determinante per la gravità della malattia». 
Una cosa è certa: «Coloro che hanno mostrato un decorso più grave sono in genere quelli che hanno malattie pregresse (cardiopolmonari, renali, pazienti diabetici); molto delicati sono i pazienti obesi, anche relativamente giovani e con poche comorbidità che però, da obesi, hanno sviluppato polmoniti da Covid molto più gravi». 
Inizialmente la malattia è radiologicamente poco visibile: «Sappiamo che nei pazienti giunti con dispnea e diminuzione di ossigeno nel sangue il virus ha colpito il polmone ma ancora non è visibile nella TAC. Ciononostante, è già in grado di causare fatica a respirare e perfino trombosi locali con ulteriori complicanze». Dopo 3 mesi «tanti hanno ancora addensamenti polmonari o cicatrici visibili sui polmoni, difficoltà di ossigenazione sanguigna, dispnea e stanchezza, indipendentemente dalla gravità della polmonite da Covid». A 6 mesi si è finora osservata sovente una residua fatica a respirare: «Ogni polmonite per guarire necessita di tempo, quella causata da Covid ancora di più e induce a indagare una possibile asma soggiacente o una malattia broncopolmonare pregressa. Sintomi, profilo polmonare e documentazione radiologica permettono di dire che la guarigione della polmonite da Covid è estremamente lenta: a 3 mesi oltre il 60% dei pazienti ha residui polmonari documentati dalla TAC e difficoltà di scambio dell’ossigeno negli alveoli polmonari, mentre oltre la metà delle persone fatica ancora a respirare». 
Per chi ha avuto un grave decorso della malattia, intubato per settimane in terapia intensiva, sarà necessaria un’accurata riabilitazione polmonare: «Sana igiene di vita e movimento sono essenziali, come la fisioterapia, per un recupero muscolare che porterà a un miglioramento della funzione polmonare, senza tralasciare la riabilitazione psicologica per attenuare l’accertata sindrome da stress post traumatico e lo stato ansioso depressivo per cui valgono buona alimentazione e movimento all’aria aperta». 
Tra persone ospedalizzate e quelle dimesse c’è un mondo: l’inizio di una completa riabilitazione fisioterapica molto lunga. Il basso profilo mediatico della figura del fisioterapista non ne scalfisce l’importanza dall’inizio al termine della malattia e oltre: «All’Ospedale La Carità di Locarno, convertito a ospedale Covid, si è creato un “reparto tracheo” ad hoc dove sono convenuti fisioterapisti di altre sedi EOC con competenze respiratorie specifiche. Dall’inizio lavoriamo con gli pneumologi assistendo pazienti in fase acuta che seguiamo nella delicata fase riabilitatoria», spiega il fisioterapista Ruben Forni che illustra la presa a carico post acuta, il cui inizio non è la palestra ma la riabilitazione funzionale di base: «Parliamo di pazienti fragili, che dalle cure intensive arrivano al reparto tracheo dove si cerca di ridurre progressivamente il sostegno respiratorio meccanico, stabilizzandone le condizioni, per permetterne la dimissione verso strutture riabilitative preposte. Importante è la verticalizzazione dei pazienti costretti a lungo sdraiati e intubati nel reparto intensivo, che hanno subìto una perdita di massa muscolare e che perciò devono trovare nuovamente forma ed energia per riuscire a stare seduti, riattivare la muscolatura respiratoria e la postura». 
Il recupero è un percorso lungo e difficile ma percorribile, che richiede l’intervento su diversi apparati per i quali la presa a carico è interprofessionale (fisioterapista, ergoterapista, logopedista, nutrizionista). Alla dimissione fa seguito il programma riabilitativo stazionario in un centro di riferimento scelto secondo il profilo del paziente e una volta a domicilio si valuta il prosieguo in uno studio fisioterapico privato per una terapia personalizzata secondo gravità, comorbidità pregresse e decorso. I protocolli sono studiati per un recupero a lungo termine e non si trascurano dettagli come la gestione a domicilio di eventuali nuovi mezzi ausiliari: «Stampelle, bastone o presidi casalinghi, fisioterapia respiratoria, inalazioni e altro».