L’Ue chiama Roma – Grazie ai leghisti di Salvini la visione sovranista sarà più forte a Strasburgo ma non al punto da rivoluzionare le politiche dell’Ue
Secondo Matteo Salvini le imminenti elezioni per il rinnovo del parlamento europeo sono un «referendum fra la vita e la morte», addirittura «fra Europa libera e stato islamico». Luigi Di Maio gli risponde così: «l’ultimo che ha parlato di referendum è stato Renzi, e non gli è andata bene». Il capo dei Cinquestelle allude al voto del dicembre 2016 sulla riforma costituzionale proposta dall’allora presidente del consiglio, di cui cominciò il declino proprio a partire da quella sconfitta. I due alleati-rivali che controllano come vicepresidenti il governo nominalmente guidato da Giuseppe Conte continuano a suonarsele di santa ragione, l’avvicinarsi della scadenza elettorale europea non fa che versare benzina sul fuoco di una polemica ormai continua, che abbraccia le più diverse tematiche.
Eppure Salvini vorrebbe fare pace. Non soltanto perché il barometro dei sondaggi e il recente risultato del voto amministrativo in alcune località siciliane segnalano che si è ormai esaurita la lunga fase di ascesa della Lega a scapito dei Cinquestelle. Ma soprattutto perché il leader leghista, dopo avere lanciato da Milano una nuova formazione parlamentare dei sovranisti, che si chiamerà Alleanza europea dei popoli e delle nazioni e comprenderà l’Alternative für Deutschland e il Rassemblement National di Marine Le Pen oltre a gruppi della destra danese e finlandese, vorrebbe che anche i Cinquestelle fossero della partita. In questo caso l’Alleanza potrebbe presentarsi come primo gruppo parlamentare e rivendicare il diritto di contribuire alla gestione politica dell’Unione.
Ma Di Maio non ci sta e attacca il rivale accusandolo di frequentare «partiti che negano l’Olocausto». A Strasburgo il Movimento fa parte del gruppo Europa della libertà e della democrazia diretta, con l’imbarazzante e sia pur transitoria compagnia dell’Ukip di Nigel Farage, che con la Brexit si ritirerà oltre Manica. Il gruppo è stato recentemente abbandonato da Alternative für Deutschland che ha preferito l’Alleanza di Salvini e Le Pen. Un febbrile lavoro è in corso per delineare lo schieramento al quale parteciperanno i deputati grillini, sulla base di un programma volto al superamento dell’alleanza attuale fra popolari, socialisti e liberali. Difficilmente questo schieramento potrà comprendere la Lega, con cui i Cinquestelle hanno in comune soltanto la posizione euroscettica, ma con un tasso di sovranismo decisamente inferiore a quello dell’Alleanza di Salvini.
Il problema di scegliere i futuri gruppi europarlamentari è condizionato, per le due formazioni governative italiane, da un fenomeno chiaramente percepibile da qualche tempo. Lega e Cinquestelle, che s’imposero all’insegna della guerra alla «casta» e dell’anti-politica ma anche di un superamento delle categorie di destra e sinistra, hanno cominciato a mostrare una netta tendenza alla polarizzazione. Si registrano il malcontento nella Lega a causa di alcune misure «di sinistra» fortemente volute dagli alleati, come il reddito di cittadinanza, e riserve di segno opposto fra i grillini, di fronte a un Salvini non più considerato anti-sistema e sempre più propenso a sbandare verso posizioni estremiste. Questa crescente divaricazione dell’alleanza di governo potrebbe renderne difficile la sopravvivenza, e favorire da una parte l’incontro fra Cinquestelle e Partito democratico, dall’altra il ritorno della Lega all’ovile del centro-destra.
Se Salvini sogna di guidare il principale gruppo parlamentare europeo con il quale condizionare le formazioni di centro e di destra, anche il segretario del Pd Nicola Zingaretti punta a un risultato elettorale che lo rilanci in Italia e in Europa. Supereremo il venti per cento, dice: che non è molto rispetto al quaranta del precedente voto europeo, ma è tanto in rapporto al costante declino che cominciò a ridimensionare il partito proprio all’indomani di quella consultazione. Zingaretti prevede che questo risultato non soltanto assegnerà al Pd, considerato il calo di consensi che affligge la Spd tedesca, il più numeroso gruppo parlamentare della socialdemocrazia europea, ma creerà le condizioni per nuove elezioni e un nuovo governo a Roma dove, nella sua interpretazione, «Salvini e Di Maio fanno finta di litigare e intanto bloccano l’Italia».
Il paradosso italiano scompiglia le alleanze rendendole incompatibili fra Roma e Strasburgo. Per esempio mentre Salvini si allea in Europa con chi vorrebbe travolgere la coalizione popolar-socialista-liberale che regge la Commissione di Jean-Claude Juncker, in Italia i berlusconiani di Forza Italia, che fanno parte proprio del Partito popolare europeo di Juncker, lo invitano a rientrare nei ranghi abbandonando i Cinquestelle e riesumando a Roma un governo di centro-destra. E mentre il Pd punta a un ruolo chiave nella socialdemocrazia europea, i suoi eurodeputati appoggeranno assai probabilmente una riedizione dell’attuale alleanza: saranno dunque al fianco di Berlusconi che corteggia i leghisti. Lo saranno anche se dovessero confluire, come vorrebbe l’ala moderata del partito, in un gruppo riformista e social-liberale gravitante attorno alla République en marche di Emmanuel Macron. Secondo i sondaggi la coalizione uscente reggerà alla prova del voto, sia pure con qualche deputato in meno: complessivamente dovrebbero perdere voti e seggi i socialisti ma questo calo potrà essere almeno in parte compensato dal previsto successo dei liberali.
Dunque lo scenario di un’Europa che restituisca sovranità agli Stati e chiuda le frontiere alle migrazioni sembra destinato a rimanere irrealizzato. Anche perché questo fronte si divide su alcune questioni cruciali, per esempio sul rapporto con la Russia di Vladimir Putin, di cui i sovranisti francesi e italiani si proclamano amici, ma non certo i polacchi del Pis (Diritto e Giustizia), che infatti non sono entrati nell’Alleanza. Inoltre pesa la condizione singolare di Salvini: nel momento stesso in cui chiede che l’Europa si faccia carico del problema dei migranti, si allea proprio con coloro che di accoglienza non vogliono nemmeno sentir parlare. Davanti all’ipotesi della redistribuzione i suoi migliori amici, come l’ungherese Viktor Orbán, alzano barriere, e così i migranti restano nei paesi in cui approdano, primo fra tutti l’Italia nonostante la politica muscolare dei porti chiusi. Anche grazie ai leghisti italiani, segnalano i sondaggi, la visione sovranista sarà più forte a Strasburgo: ma non al punto da rivoluzionare le politiche dell’Unione.