Gastronomia - Non è l’unica soluzione per la crisi della ristorazione, ma una delle più utili per compensare i periodi più duri
Questi due anni di pandemia sono stati duri per la ristorazione, e la ripartenza è più lenta del previsto, causa crisi. Tutti i ristoranti, chi più chi meno, sono stati danneggiati. Anche se alcuni di questi hanno saputo gestire al meglio un aspetto da sempre trascurato: la delivery, con il suo fratello take-away.
Tutti utilizzano oramai questi termini inglesi, comunque, la delivery è la consegna a un cliente di un pasto che ha ordinato; se il cliente viene a prenderlo, invece, si dice take-away.
Il dubbio di molti è: la delivery è davvero la soluzione della crisi che colpisce la ristorazione oggi? La risposta è no, non è «la soluzione». Ma è «una soluzione», una delle tante cose che un ristorante deve saper gestire per affrontare al meglio i problemi. Da sola, senza tutti gli altri interventi legati a un ottimale controllo di gestione, non basta. Serve soprattutto flessibilità e capacità di adattarsi agli eventi, senza le quali non si va da nessuna parte. Tuttavia, aiuta, e molto, il fatto che il «margine di contribuzione lordo» della delivery sia più che positivo.
Sintetizzando, giustamente un patron può, anzi, deve fare tutto e di tutto, se porta soldi. Quindi la delivery non sostituirà mai il servizio al tavolo, ma sarà un qualcosa in più che serve per migliorare i conti.
La suddivisione ormai consolidata della delivery è in tre parti: delivery di piatti freddi, pronti da mangiare a temperatura ambiente; delivery di piatti che richiedono solo di essere scaldati in forno, sia classico sia a microonde; delivery di piatti che il cliente deve «montare» a casa: ovviamente in pochi minuti, tipo mandare del riso da (finire di) cuocere con un sugo da aggiungere. Fa eccezione, almeno qui in Italia, la delivery della pizza, che deve essere consegnata calda quindi in pochi minuti: solo una pizzeria molto vicino alla casa del cliente riesce a farlo.
Quali ricette deve scegliere un ristorante? Una cosa è sicura, mai (o rarissimamente) quelle che serve abitualmente. Una cosa è finire un piatto, impiattarlo al meglio e portarlo a tavola; altro è un piatto che comunque si sbatacchia durante il trasporto. I clienti della delivery lo sanno bene, quindi, come dire, badano di più al sodo, alla sostanza (e all’abbondanza) che alla forma.
Quindi un bravo ristoratore deve inventare ricette adatte alla delivery. Poi, che un corriere consegni a un cliente dei piatti durante le ore del servizio non crea problemi. Mentre preparare i piatti al momento del servizio, i problemi, li crea. Per fortuna esistono gli abbattitori e il sottovuoto, che tutti i cuochi oramai sanno usare. Quindi questi piatti meglio prepararli nelle ore di poco o nullo lavoro.
Secondo me, tre saranno le caratteristiche dominanti per avere successo con la delivery: puntare sui clienti fedeli e sul quartiere, ovviamente facendo leva sul proprio nome; consegnare con personale proprio, e ben vestito, e garbato, cosa che vale moltissimo; packaging dignitoso ma senza esagerare: fondamentali sono il nome e l’immagine del ristorante, però il fatto di sigillare la vaschetta da asporto, che protegge il piatto, dà un valore aggiunto cospicuo. Aggiungiamo poi, che sarebbe necessario cavalcare al meglio i mini-banqueting, riassumibile con «la filiera» dalla cucina alla tavola. Molti clienti amano i piatti da montare, ma non vogliono (o non sanno) farlo, soprattutto per una cena da sei persone in su. In questo caso sarebbe ideale mandare un addetto del ristorante che porti il cibo, lo finisca, lo serva e poi se ne vada. Io credo moltissimo in questo tipo servizio.
Attenzione: perché il tutto funzioni, e bene, si devono investire in termini di tempo tanto, di idee tantissimo e di soldi… meno.