Pubblicazioni – Nora Bader e Andrea Fopp indagano il giornalismo svizzero da un punto di vista tutto femminile
Nel caso non vi foste ancora accorti, la Svizzera ha bisogno di più giornaliste. Ce lo dicono Nora Bader, «20 Minuti», e Andrea Fopp, redattrice di «Bajour», nella loro recente pubblicazione Frau macht Medien uscita per l’editore svizzero tedesco Zytglogge. Galeotto sono stati un bicchiere di vino bianco in una fresca serata autunnale basilese e una chiacchierata tra giornaliste locali su come va il settore e quali sono le opportunità per giovani professioniste come loro. Ne è nato un saggio che attraverso quindici interviste offre un’istantenea del giornalismo svizzero da un punto di vista tutto femminile. La domanda di partenza è molto chiara: «Quanto conta il genere nel giornalismo?». La risposta scontata, parecchio. Ma c’è anche una buona notizia, diversi editori hanno finalmente deciso di vedere la competenza femminile come una risorsa nella quale investire promuovendo strategie mirate per valorizzarla.
Secondo Andrea Bleicher, già vicedirettrice della «SonntagsZeitung» e del «Blick», è tempo che gli editori realizzino che i team devono rispecchiare la composizione dei loro clienti attuali e potenziali. Seguono l’onda le due autrici: «Come quarto potere è nostro compito controllare i potenti della politica e dell’economia ma lo possiamo fare soltanto se conosciamo bene la popolazione. Il giornalismo può assolvere al suo compito soltanto se le donne sono equamente rappresentate nelle redazioni, nei dibattiti, nell’agenda tematica».
Stando ai dati, nelle redazioni quattro giornalisti su dieci sono donne ma i posti di direzione tre su quattro sono affidati a uomini che rappresentano la maggioranza, il 70%, anche nelle redazioni economiche e politiche, notoriamente i settori che godono di più potere. Non per niente gli editori amano affidare la redazione a chi proviene dalla politica o dall’economia. I dati ci dicono anche che in media i giornalisti guadagnano 700 franchi in più al mese delle giornaliste. La testata più virtuosa sembra essere la testata digitale «Republik» con il 44% di donne in redazione, il 53% in posizioni quadro e parità di salario rispetto ad esempio al 35% di donne in redazione alla NZZ (che da pochi giorni ha la prima caporedattrice agli interni nella storia del giornale), solo il 25% nelle posizioni quadro. Tra gli editori virtuosi figurano Ringier con l’iniziativa EqualVoice lanciata per promuovere la parità di genere. Oppure la SRF che nel 2019 ha raggiunto il tetto prefissato del 30% di donne nelle posizioni quadro e ora tramite un diversity board creato ad hoc dalla direttrice Nathalie Wappler, insieme alla rete «idée femme» punta a promuovere ulteriormente le giornaliste della radiotelevisione di servizio pubblico verso posizioni di responsabilità.
Patrizia Laeri, economista, imprenditrice e già volto noto di diversi programmi di economia della SRF elogia il modello BBC e la sua strategia 50:50 che non è soltanto virtuosa e giusta ma ha portato all’ammiraglia inglese più pubblico femminile. La ricetta è semplice: puntare ad un maggiore equilibrio nella presenza in video, nelle moderazioni, nella selezioni dei temi e degli ospiti in studio o ai microfoni. La giornalista lo dice senza mezzi termini: «è un fatto che le aziende che puntano sulle donne portano a casa ottimi risultati mentre quelle che non le coinvolgono si privano di una fetta di potenziali clienti». Anche il caso della «Woz – Die Wochenzeitung» la dice lunga sui benefici di una leadership femminile: Susan Boos nel 2005 ha preso in mano le redini del settimanale a un passo dalla bancarotta e ne ha risollevato le sorti. Katia Murmann dal 2017 responsabile digitale di Ringier ha da subito coinvolto più editorialiste, più giornaliste, e trattato temi di genere. Le nuove lettrici non si sono fatte attendere. L’introduzione delle quote potrebbe essere una soluzione.
Tornando a Patrizia Laeri, il saggio ricorda come nel 2016 fu vittima di sessismo. In quell’anno era tra le candidate per la moderazione del programma d’informazione 10vor10. Il domenicale «Schweiz am Sonntag» scrisse che la SRF stava prendendo in considerazione di assumere una «Hobbymodel» senza fare accenno ai suoi studi o alle sue competenze. Fu l’inizio di quello che in gergo si chiama shitstorm (ondata di protesta), ricevette centinaia di commenti critici in cui si diceva che la bellezza non era un criterio per condurre un programma d’informazione. L’economista chiese aiuto all’avvocatessa dei media Rena Zulauf. La «Schweiz am Sonntag» uscì con una rettifica e nella versione online sostituì il termine «Hobbymodel» con «economista». Michèle Binswanger sul «Tages-Anzeiger» criticò l’articolo sessista mentre la rivista di settore «Persönlich» fece un’ampia intervista a Patrizia Laeri perché potesse difendersi e fare chiarezza. Lo shitstorm si trasformò in uno smartstorm, giornaliste e lettrici criticarono nei social media la narrazione sessista e difesero la giornalista. Insieme alla rete femminile Medienfrauen Schweiz venne anche promossa una campagna social dal titolo: «Attenzione, donna intelligente!» che ebbe grande successo e seppellì la narrazione sessista del domenicale.
C’è anche chi come Andrea Bleicher già direttrice del «Blick» ha deciso di lasciare il giornalismo perché il settore non la soddisfava più: «vedevo declinare il modello di business e non c’erano le prospettive per una risalita, non vedevo più opportunità di crescita». Le condizioni di lavoro non sono più attrattive come in passato e molti cambiamo per posizioni meglio retribuite, spesso in aziende che permettono di conciliare meglio lavoro e famiglia.
Tra le quindici giornaliste intervistate c’è anche Marianne Baltisberger, direttrice della «Tessiner Zeitung», che racconta della sua redazione formata da quattro donne e un uomo come un’eccezione in un panorama, quello della stampa ticinese, dominato da uomini. In particolare nei posti decisionali anche se spesso «al comando ci sono uomini incapaci scelti solo perché uomini».