Reportage - Cronaca di una passeggiata sul boulevard, lungo dodici chilometri, che divide in diagonale Città del Messico
«Es la avenida màs hermosa de la ciudad» («È il viale più bello della città»). Sono queste le parole usate da Israel, membro di un gruppo di motociclisti, per definire il Paseo de la Reforma, il boulevard di dodici chilometri che divide in diagonale Città del Messico. Questa strada è un po’ il filo d’Arianna della capitale messicana, ti fa ritrovare quando ti perdi nel labirinto del centro del «Mostro» (così viene anche chiamata Città del Messico), una megalopoli con più di quindici milioni di abitanti.
Non manca nulla al Paseo e se hai poco tempo per fare il turista, segui questa strada che ti condurrà nei luoghi più importanti e ti mostrerà i contrasti della capitale. Certo, bisogna fare delle piccole deviazioni, allontanarsi per un po’, a volte darle le spalle, ma alla fine da lei è necessario tornare, alla grande arteria amata e rivalutata dagli stessi messicani.
La leggenda dice che l’imperatore Massimiliano I la fece costruire nel 1860 in onore della sua sposa, l’imperatrice Carlotta, perché dalla finestra della sua stanza nel castello di Chapultepec, potesse vedere il Palazzo Nazionale. Oggi la vista è un po’ ostacolata dai grandi palazzi di vetro e cemento, ma non è difficile immaginare come a quei tempi dovesse aprirsi allo sguardo di chi si fosse affacciato dalla finestra regale.
Il Paseo inizia dove si trova l’auditorium nazionale, il più grande del Messico, proprio davanti al Museo di antropologia. In questa prima parte del tragitto i parchi si fronteggiano, dando spazio a grandi viali alberati, per chi vuole correre, e a lunghe piste ciclabili. La città sembra lontana, così come il rumore. Venditori ambulanti portano a spasso abbondanti pennacchi colorati di zucchero filato. Lungo i vialetti e sui prati si incontrano mamme con bambini, cani, coppiette abbracciate. Mentre tutt’intorno, teatri all’aperto ospitano recite, commedie e spettacoli d’opera.
Dall’altra parte, al terminar del Paseo si trova un altro luogo simbolo per i messicani: il santuario della Vergine di Guadalupe. Anche questa Signora, a suo modo, è trasversale nella società messicana. «Tutti siamo guadalupiani» mi dice Alfonso, un ragazzo di 30 anni che sta visitando il Santuario. «Se sei messicano, almeno una volta nella vita devi venire al Santuario» mi spiega Andrea, una ragazza di 20 anni con un piercing al labbro e una collana con l’effige della Vergine.
E nel mezzo, tra la Vergine e la Principessa, tra il sacro e il profano del Paseo?
«Prima di tutto ci trovi Lui» dice Israel. Lui sta per l’Angelo dell’Indipendenza, il simbolo di Città del Messico. Lo trovi che risplende con il suo vestito d’oro in cima alla colonna al centro di una grande piazza, circondata dalla Zona Rosa, il quartiere centrale degli affari e della diplomazia, dei negozi alla moda e delle gallerie d’arte. La borsa valori è qui vicina, chiaramente sul Paseo, e businessmen e segretarie si incontrano a ogni angolo.
Sullo sfondo, i rumori di gru, trattori e scavatrici fanno da colonna sonora alle nuove costruzioni, scheletri di grandi alberghi, nuovi uffici, nuovi centri commerciali. Tutti vogliono affacciarsi sul Paseo. E la sera quando l’Angelo s’illumina, nella Zona Rosa si accendono le luci rosse dei night club e delle discoteche.
Il Paseo è però anche la strada dove si svolgono le manifestazioni e le proteste. Perché se blocchi il Paseo, blocchi il centro della città. Ed è così che i giovani per chiedere un mondo di pace e amore si riversano per la via, lasciando spazio il giorno dopo ai contadini del sud con i loro cappelli di paglia e le bandiere rosse sventolate per ottenere più servizi sociali.
Non meno attraenti sono alcune arterie che partono proprio dal Paseo, come è il caso dell’Avenida Juarez dove a metà strada, nei viali del parco Alameda, si balla la salsa, circondati dalle bancarelle dei fricchettoni. E giù in fondo si intravede anche da lontano la bandiera messicana più grande del Paese, quella che sventola nella piazza dello Zocalo, il cuore di Città del Messico, circondato dalla Cattedrale e dal Palazzo Nazionale. «Se vuoi goderti veramente questa piazza devi venire qui di notte, quando è quasi vuota e puoi sentire il rumore dei tuoi passi», mi suggerisce il cameriere del bar all’ultimo piano di un albergo che si affaccia sulla piazza.
Ma torniamo al Paseo, ripartendo dalla statua di El Cabalito, da dove inizia la parte più popolare e meno luminosa dell’arteria, dove i vetri e l’acciaio dei grandi grattacieli lasciano posto al cemento e ferro delle case basse e sbrecciate. Basta arrivare ai giardini che circondano la statua di Simon Bolivar per capirlo. Sotto al cavallo del grande condottiero si radunano tossici e sbandati. A un tiro di schioppo da qui la Piazza Garibaldi invece è il luogo per eccellenza dei musicisti mariachi. «Se vuoi un complessino che canti la serenata alla tua bella o che allieti una festa con canzoni della tradizione messicana, li trovi qui» mi istruisce un suonatore fasciato nella tradizionale divisa nera con borchie d’argento.
La zona è popolare e sul Paseo supermercati e negozi di vestiti economici prendono il posto di centri commerciali e boutique. I monumenti importanti sono spariti e al posto dei grandi parchi si vedono aiuole spennacchiate. Siamo ormai verso la fine, ma prima di arrivare al Santuario di Guadalupe, basta fare una svolta a sinistra e percorrere qualche centinaio di metri per trovarsi nella Piazza delle Tre Culture, luogo ricco di storia triste, antica e moderna.
Questo, dove sorgeva la città preispanica di Tlatelolco, è stato l’ultimo baluardo contro l’invasione spagnola guidata da Hernán Cortés, e dopo una strage senza né vincitori né vinti, viene ricordato come il posto dove è nato il popolo messicano di oggi. Sul grande spiazzo pedonale da dove si possono ammirare le rovine e dove i ragazzi fanno skate si trova anche la grande stele che ricorda la strage degli studenti universitari del 1968. Più di trecento giovani uccisi da un tiro a segno dell’esercito, mentre manifestavano contro il governo.
Tornando indietro sul Paseo, si affaccia in fondo la piccola collina con in cima la chiesa di Guadalupe, il santuario del pellegrinaggio, dove si portano voti e si chiedono miracoli: la fine di questo piccolo viaggio nell’arteria più importante di Città del Messico, la strada della nostalgia, la strada che ti fa accarezzare la storia messicana moderna e antica.