Sarkozy, la brutta fine di un ex

by Claudia

La parabola di Nicolas Sarkozy non potrebbe essere più crudele. Era stato la grande promessa della destra francese ed europea. Basta con l’egualitarismo e il pauperismo, con l’eredità del Sessantotto, con il politicamente corretto, con il buonismo: chi lavora di più guadagni di più; merito, opportunità, e delinquenti in galera. Ora agli arresti è finito lui, con l’accusa infamante di aver preso soldi da Gheddafi per la campagna elettorale del 2007 e di averlo poi bombardato, per cancellare le tracce.
La destra italiana l’ha adorato; poi quando rise del suo padrone di allora, Berlusconi, lo abbandonò. La sinistra l’ha detestato fin dall’inizio. L’unica italiana che continua ad amarlo è Carla Bruni.
La caduta di Sarkozy è stata lenta ma inesorabile. Nel gennaio 2012, presagendo la sconfitta contro Hollande che disprezzava profondamente, in un momento di confidenza con i giornalisti al seguito nel suo viaggio in Guyana annunciò il ritiro: «La politica è come una droga. L’ago va estratto poco per volta» disse mimando un’iniezione. Poi tentò di buttarla sul ridere: «Farò conferenze, viaggi, e un sacco di soldi».
Non è stato di parola. Ha tentato ritorni impossibili. Si è ripreso il partito, gli ha cambiato il nome – Les Républicains, come in America – ma è stato sconfitto alle primarie da Fillon, che poi non ha neppure passato il primo turno delle presidenziali. A quel punto si è ritrovato nudo di fronte alla magistratura, che l’ha accusato pure di aver subornato l’anziana Liliane Bettencourt, l’ereditiera dell’Oréal, sempre per avere denari per la campagna elettorale.
In realtà sono altre le cose che Sarkozy non perdona a se stesso: non lasciare un monumento che lo ricordi, come il Musée du quai Branly per Chirac, la piramide del Louvre e la Très grande bibliothèque per Mitterrand, o il Centre Pompidou (inaugurato da Giscard); e aver perso il duello televisivo con Hollande.
Il disinnamoramento dei francesi è stata per Nicolas una prova durissima, quasi come l’abbandono della donna della sua vita, Cécilia. Per riconquistarla aveva organizzato la festa da Fouquet’s – il ristorante dei miliardari – nella notte della vittoria, e poi la fuga a Malta sullo yacht di Bolloré, che l’hanno reso inviso all’opinione pubblica sin dall’inizio.
A celebrare Sarkozy venne tutta la Francia che conta: Bernard Arnault, Martin Bouygues, Serge Dassault; pure Jean Réno, l’attore, e Johnny Hallyday, il cantante. Ma molti cominciarono a mugugnare: la sconfitta contro Hollande cominciò a maturare allora. Cagnaccio da campagna elettorale, Sarkozy rimontò negli ultimi giorni, ma non abbastanza. La notte della disfatta annunciò di voler tornare «uno di voi», «francese tra i francesi», con la mano sul cuore, come un attore consumato che prende congedo dal suo pubblico. Il giorno dopo riunì i collaboratori e annunciò il ritiro dalla politica. Si disse appagato; in realtà era roso dal rimpianto.
Ora che esce di scena davvero, denigrarlo è facile; ma di Sarkozy la Francia si era davvero infatuata. La sua non fu una vittoria di risulta, come quella di Hollande; fu una vittoria di sfondamento, all’insegna della rottura. Metà Paese detestava il suo stile volgare, il suo linguaggio sboccato, la sua agitazione perenne, la sua passione per il denaro. Ma l’altra metà non vedeva l’ora di trovare un leader capace di dire che il mitico Maggio era stato un disastro, che le élites uscite dalla mitica Ena stavano tradendo il popolo, che l’immigrazione di massa avrebbe confuso l’identità nazionale, che il profitto non era peccato e lo Stato costava troppo. Poi c’erano i ricchi, quelli veri. Che con il potere si mettono d’accordo sempre; figurarsi con uno come lui.
L’amore tra il presidente e i francesi è durato poco non solo per una questione di stile; ma perché la rottura, invocata a parole, nella realtà i francesi non la vogliono. Troppo legati a uno Stato costoso ma protettivo, a un sistema sociale rigido ma avvolgente. La Francia dimostra di non saper più rischiare né soffrire; anche per questo, si ritroverà a rischiare e a soffrire moltissimo. Con Sarkozy svanisce la sua promessa impossibile: fare della Francia un Paese dinamico, forte, sicuro; guarirne il «grand malaise», la sensazione di non contare più nulla e di non essere più nulla. In tanti non avevano mai considerato davvero francese quell’outsider figlio di un esule ungherese, nipote di un ebreo greco, dal soprannome – Sarko – aspro come una malattia. 
Le inchieste giudiziarie si sono intensificate da quando ha dovuto lasciare l’Eliseo. Siccome nessun uomo è grande per il suo intercettatore, emergono dettagli scabrosi: un linguaggio tipo Nixon; un atteggiamento intimidatorio; la presenza di una talpa tra i giudici, che gli passava notizie in cambio della promessa di un trasferimento a Monaco. E la storiaccia di Gheddafi, che certo ha fatto una fine peggiore. Ma per un ex presidente della Repubblica, eletto dal popolo, investito di una dignità quasi sacrale, essere trattenuto dai poliziotti come un malfattore qualunque è un’umiliazione che lascerà il segno nella storia di Francia.

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