Economia virale – Donald Trump affronta per la prima volta il Covid-19 chiudendo le frontiere con l’Europa. Per il presidente l’epidemia si sta forse trasformando in una prova d’incompetenza aggravata dal rischio di recessione
Dopo una lunga serie di crolli di tutte le Borse mondiali, un record negativo è stato stabilito dalla seduta di giovedì 12 marzo, quando a Wall Street l’indice azionario Dow Jones ha perso il 10% nonostante la banca centrale americana fosse intervenuta in soccorso degli investitori con una eccezionale iniezione di liquidità: 1.500 miliardi di dollari. Dall’Asia all’Europa le perdite erano perfino più pesanti, malgrado altri interventi di banche centrali. Tutte le Borse sono ormai entrate abbondantemente nella fase dell’Orso, come vengono designati i periodi di ribassi superiori al 20%.
Per trovare tracolli così drammatici concentrati in così poco tempo bisogna risalire ad anni nefasti segnati da crack che hanno fatto la storia: 1929, 1987, 2008.Il blocco per 30 giorni dei viaggi da e per l’Europa (Regno Unito escluso) deciso da Donald Trump è un altro colpo duro per l’economia. L’Europa è la prima destinazione per gli americani che viaggiano, sia per turismo che per affari. L’anno scorso più di 72 milioni di passeggeri americani hanno visitato l’Europa. Che cosa sta accadendo nell’economia mondiale? I mercati finanziari vedono arrivare una recessione. Al di là del calo della domanda, nel medio-lungo termine le aziende di tutto il mondo devono affrontare due sfide strategiche: primo, la riorganizzazione della catena produttiva e logistica per renderla meno vulnerabile; secondo, la transizione al tele-lavoro, lavoro a distanza, tele-working o smart-working.
Il timore di una recessione in arrivo spiega la decisione della Federal Reserve lunedì 2 marzo di ridurre di ben mezzo punto i tassi, senza aspettare la data del meeting istituzionale preposto alle decisioni sui tassi. Questo genere di azioni fuori programma, la Fed la effettuò dopo il crack del 2008. Che sia alle porte una recessione sembrano pensarlo la maggioranza degli investitori in titoli pubblici americani, avendo sospinto il rendimento dei Treasury Bond decennali sotto l’un per cento per la prima volta nella storia.Segnali analoghi pre-recessione si possono notare nella brutalità della caduta del prezzo del petrolio, e nell’impennata dell’oro.
Il crollo del petrolio è stato accentuato dall’improvviso accendersi di uno scontro fra Arabia saudita e Russia. La premessa è che la frenata cinese e il rallentamento globale avevano già ridotto i consumi energetici provocando un calo dei prezzi petroliferi di un terzo dall’inizio dell’anno.L’Arabia voleva concordare con la Russia dei tagli di produzione coordinati. Non avendo trovato un accordo, l’Arabia si è mossa da sola per infliggere il massimo danno alla Russia, con aumenti di produzione e forti sconti, che hanno accelerato il tracollo dei prezzi.Attenzione al rischio default sui bond, anche emessi da aziende energetiche americane che operano ai margini nell’estrazione attraverso fracking: è un settore sovra-indebitato. Più in generale le banche americane sono esposte a crisi dei loro grossi clienti corporate, non solo nell’industria petrolifera ma in tutti i settori.In Borsa i titoli bancari hanno perso quasi il doppio rispetto alla media delle perdite degli indici azionari.
La Boeing ha dovuto attingere a fidi bancari per quasi 14 miliardi di dollari, e molte aziende stanno facendo lo stesso. In una riunione alla Casa Bianca con Trump il chief executive della Bank of America ha voluto rassicurare che «questa non è una crisi finanziaria» (citazione che poi è stata ripresa dallo stesso Trump) ma non è mai un buon segno quando i banchieri devono fare questo genere di dichiarazioni. Il costo per assicurare delle obbligazioni bancarie contro il rischio di default è quasi triplicato in una settimana, anche se siamo ancora molto al di sotto dei livelli del 2008.In questo scenario può stupire che l’euro si rafforzi sul dollaro. È la valuta americana che vede attenuarsi il suo status di bene-rifugio perché i mercati si aspettano ulteriori cali nei rendimenti oltre che della crescita. Gli investitori scommettono che anche stavolta la Fed sarà più aggressiva della Bce, e quindi il differenziale di rendimenti che rafforzava il dollaro andrà assottigliandosi.
Tra le incognite sul fronte americano una riguarda proprio l’efficacia della politica monetaria. La Fed oltre a ridurre ulteriormente i tassi – inseguendo i rendimenti negativi della Bce come vorrebbe Trump – può riprendere gli acquisti di bond, magari allargando la varietà e tipologia di titoli acquistati, estendendola a titoli privati.Funzionò dopo il 2008 quando in cinque anni i mercati furono inondati di 4.500 miliardi di dollari di liquidità. Però le differenze col 2008 pesano. Intanto, quella crisi arrivò lentamente: le prime avvisaglie ci furono nell’estate del 2006 quando si raggiunse il picco dei prezzi immobiliari; la recessione cominciò nel dicembre 2007 e divenne pesante nell’autunno 2008.Oggi la Fed deve esaminare la possibilità di una frenata concentrata su pochi mesi. E con caratteristiche inedite, dal lato dell’offerta e della domanda.
Uno shock dal lato dell’offerta, lo si può paragonare a un supermercato dove gli scaffali sono vuoti perché non è arrivata la merce che doveva essere fabbricata in Cina. Uno shock dal lato della domanda, lo possiamo immaginare come un supermercato vuoto di clienti, perché i consumatori stanno chiusi in casa. La banca centrale inondando di liquidità l’economia può cercare di rendere i consumatori e le imprese un po’ meno pessimisti e in parte può intervenire sul loro potere d’acquisto o capacità d’investimento. Però non può riaprire zone chiuse per quarantena; né tantomeno può aggiustare una catena produttiva e logistica spezzata in qualche anello cinese che non sta funzionando. Perciò si sta discutendo di come la politica di bilancio, la spesa pubblica, possa arrivare là dove la politica monetaria non serve.Il Congresso ha approvato un intervento d’emergenza di 8,3 miliardi di dollari, già firmato da Trump. Ma questo basta appena per fare arrivare finanziamenti urgenti alle varie agenzie sanitarie federali impegnate sul fronte del coronavirus.
Trump chiede al Congresso di ridurre le ritenute fiscali sulle buste paga e le tasse sulle imprese, almeno nei settori più colpiti cioè trasporti, turismo, spettacoli e tempo libero. Nell’immediato il presidente annuncia un intervento da 50 miliardi a sostegno di questi settori: liquidità, prestiti, sgravi fiscali e dilazione nelle scadenze di pagamento d’imposte, più un intervento a favore dei lavoratori che perdono salario se stanno a casa per malattia.Le preoccupazioni più gravi si situano proprio nell’interfaccia tra l’economia e la sanità. Gli Stati Uniti hanno un sistema sanitario frammentato perché prevalentemente gestito da una pletora di assicurazioni private. Le regole variano da un’assicurazione all’altra e da uno Stato all’altro. Questo non aiuta a coordinare una risposta veloce ed efficace ad una pandemia. Inoltre quasi un terzo dei lavoratori americani perde salario se sta a casa per malattia: questo spinge gli ammalati ad andare al lavoro comunque, contagiando i colleghi. I «kit diagnostici» coi tamponi per individuare il coronavirus all’inizio venivano fatti pagare ad alcuni pazienti; ora sono gratuiti ma si sono resi disponibili in ritardo, dopo una penuria iniziale.
L’Amministrazione Trump è sotto accusa per la lentezza nel reagire; anche al netto delle polemiche politiche, non si può escludere che la dimensione del contagio negli Stati Uniti sia sottostimata e che i giorni a venire ci riservino brutte sorprese. Uno dei massimi esperti sanitari al vertice di un’agenzia federale, il medico Anthony Fauci che dirige il National Institute of Allergy and Infectious Diseases, ha suggerito che possano rendersi necessarie misure d’isolamento d’intere aree degli Stati Uniti, sul modello italiano. Un modello statistico che applica alla popolazione americana il livello di contagio dell’influenza suina del 2009, e un indice di mortalità dello 0,68%, porterebbe a un bilancio di 440.000 morti, citato dallo storico dell’economia Niall Ferguson sul «Wall Street Journal». Può valere per gli Stati Uniti quello che gli esperti epidemiologici pensano dell’Inghilterra e cioè che il picco del contagio sia in ritardo di un mese sull’Italia, quindi il peggio possa accadere in aprile.Una preoccupazione in più accomuna gli Stati Uniti all’Europa: siamo tutti dipendenti dalla Cina come fornitrice di principi attivi dei medicinali, e per alcuni di questi già si registrano penurie. Cina e India sono i due maggiori produttori mondiali di farmaci generici, nonché di principi attivi per antibiotici.
Anche la resilienza dell’economia reale è alla prova. L’economia digitale è attrezzata per passare al tele-lavoro e infatti si moltiplicano le aziende che chiedono ai dipendenti di lavorare da casa. Sono i servizi e i settori della Old Economy che soffrono. Si stima che il 37% dei lavoratori americani siano nell’impossibilità di lavorare da casa. È una sfida per tutte le aziende: garantire che i dipendenti abbiano laptop o tablet adeguati, wi-fi veloce a casa, e accesso ai siti aziendali con procedure di sicurezza. E questo è solo l’aspetto tecnico, poi c’è tutta la riorganizzazione del lavoro aziendale da avviare. Nel frattempo chi può si converte a piattaforme digitali come Zoom, la più utilizzata per le videoconferenze online; le concorrenti sono Microsoft Team, Slack, Google G Suite.
A voler trovare il lato positivo di questa epidemia, ci costringe tutti a un corso accelerato e intensivo sull’uso di queste tecnologie, che saranno comunque utili in futuro (per esempio per ridurre le emissioni di CO2).E le ricadute politiche del coronavirus? Ha probabilmente contribuito ad accelerare i tempi della nomination democratica, in favore di Joe Biden. In una crisi un politico di carriera, con una collaudata esperienza di governo (8 anni come vice di Obama) è la scelta della sicurezza; mentre un radicale di sinistra come Sanders ha perso attrattiva. È presto per valutare l’effetto coronavirus su una sfida finale Trump-Biden il 3 novembre. A giudicare dalla risposta iniziale di Trump, c’è la possibilità concreta che questa epidemia diventi per lui l’equivalente di quel che fu l’uragano Kathryna per Bush: un disastro d’immagine, una prova d’incompetenza. Più il rischio recessione che compromette uno degli argomenti forti per la sua rielezione, cioè la buona salute dell’economia. Trump però sta cercando di usare il coronavirus per rafforzare la sua narrazione nazionalista-sovranista: lo chiama «il virus straniero», un modo per sottolineare l’utilità di controllare le frontiere.