Un giurista-docente e un giornalista raccolgono in un libro gli errori in cui è incorsa l’informazione giudiziaria ticinese nel 2019, aprendo anche un dibattito sui limiti del diritto processuale cui deve sottostare
Non la legge ma la qualità e la varietà degli strumenti di formazione e di critica permettono la denuncia e la revisione degli errori che i media commettono. Mi piace riprendere questa che Russ-Mohl considerava la chiave del libero funzionamento dei media in America a proposito di un libro uscito da poco in Ticino, opera congiunta di un giurista-docente e di un giornalista attivo alla RSI. In cui al rigore del primo, soprattutto nella citazione dei riferimenti legali, si unisce la puntigliosa registrazione, da parte del secondo, di (oso dire, all’apparenza) tutte le pubblicazioni uscite in Ticino nel 2019, sia a stampa, sia via etere, sia ancora in quell’universo sconfinato che sono i social media. I due autori non si azzardano a calcolare quanto spazio percentualmente occupi la cronaca giudiziaria nell’insieme dell’offerta giornalistica in Ticino ma è da presumere che sia una bella fetta: un terzo, un quarto?
Un effetto della registrazione puntuale degli errori e degli svarioni in cui è incorsa l’informazione giudiziaria ticinese nel 2019 potrebbe giustificare un giudizio molto negativo. In qualche caso (come quando dalla lettura errata di un comunicato si dedusse la «notizia» di un giro di mutilazioni genitali a danno di bambine figlie di immigrati) si potrebbe giustificare una disdetta dell’abbonamento. Ma non è su questo tono che i due autori si divertono a criticare, la loro è un’impresa seria.
Malgrado l’impegno sul fronte della procura pubblica («Il Servizio comunicazione, media e prevenzione è composto di sei persone», p. 108), questioni rimangono aperte sui due fronti. Sul fronte delle redazioni, in primo luogo, ove all’incompetenza fattuale si associa persino l’incompetenza verbale (il codice commìna una sanzione, la corte la infligge!), il rimedio deve consistere in una selezione e formazione più severa degli addetti. Ma anche sul fronte della magistratura e della politica. L’avvento del nuovo Codice di diritto processuale (prima si chiamava: Codice di procedura penale) ha sconvolto la terminologia, ma ha pure aggravato il compito dei media inasprendo le condizioni di ammissibilità e di conoscenza degli incarti, abolendo quasi totalmente la possibilità di citare i nomi delle persone in causa, riducendo le cronache a parvenze di notizia e in definitiva – ne concludo – negando al pubblico il diritto all’informazione garantito dalla Costituzione. Il senatore Fabio Abate aveva proposto un riesame della questione e il Consiglio degli Stati (contro un parere negativo dal tono arrogante espresso dal Consiglio federale) gli aveva dato ragione approvando la sua mozione. Passata al Nazionale e difesa da nessuno, la proposta di Abate è affogata senza destare reazioni. Anzi, no: una reazione ci sarà. L’Associazione Ticinese dei Giornalisti e l’Università della Svizzera italiana preparano un rapporto sulla menzione dei nomi in cronaca a scala, addirittura, europea. Auguriamoci che i quiriti le riservino, a tempo debito, una migliore attenzione.
Il volume è completato da tre excursus molto interessanti: di Bertil Cottier Cronique judiciaire: avec ou sans les noms, di Nicolas Capt e Irina Riera Le droit à l’oubli dans le monde de la presse digitale, illusion ou réalité?, e di Andrea Frattorillo Vox populi vox Dei? Il fenomeno dei processi visti dai social media, in particolare il caso del pestaggio di Giumaglio.
Bibliografia
D. Cerutti / F. Lepori, La cronaca giudiziaria ticinese. Sguardi comunicativi, giuridici e metodologici, Helbling Lichtenhahn, Basilea, 2020, pp. 161.