Rachlin, quasi un predestinato

by Claudia

Il 21 novembre al LAC l’OSI sarà affidata a uno dei maggiori direttori d’orchestra europei, che è anche un eccezionale violinista e violista

Nonni, padre, madre, amici: la straordinaria parabola artistica di Julian Rachlin è tutta segnata da relazioni affettive. Nato a Vilnius, la sua famiglia è emigrata in Austria nel 1978 e a dieci anni già si esibiva in pubblico e a 14 diventava il più giovane solista a suonare con i Wiener Philharmoniker: sul podio c’era Riccardo Muti, si era al Berliner Festspiele. Oggi, oltre ad essere considerato uno dei massimi violinisti, è assai apprezzato come violista e ha intrapreso con uguale successo la strada della direzione. 
Giovedì 21 si presenterà al LAC proprio in questa sua terza veste, salendo sul podio dell’OSI per affrontare un programma ad alta gradazione romantica: dopo un preludio di luminosa classicità con il mozartiano Divertimento per archi K 136, Rachlin dirigerà la sinfonia Incompiuta di Schubert, l’Adagio di Barber, e infine uno dei concerti per violino più appassionati dell’Ottocento, il Primo in sol minore di Bruch; qui però Rachlin lascerà l’onore e l’onere dell’archetto a Ray Chen, trentenne talento di Taipei.
La prima volta che Rachlin lo impugnò è gustosa aneddotica: «Avevo solo due anni e mezzo ma le idee chiarissime: volevo suonare il violoncello, lo strumento di papà! Un giorno i nonni mi portarono a casa uno strumento dicendomi che era un violoncello, piccolo perché doveva essere per un bambino che non frequentava ancora l’asilo; mi ci applicai con serietà. Ci si può immaginare il mio sgomento quando papà mi portò a una prova dell’orchestra e scoprii che in realtà lo strumento che mi avevano regalato i nonni era un violino!». Nel 1994, ventenne, incontrò Pinchas Zuckermann, che gli fu maestro e mentore: «Fu lui a spingermi verso la viola: sosteneva che sarei stato un musicista più completo e mi avrebbe aiutato anche come violinista, soprattutto nella tecnica dell’arco».
Invece salire sul podio fu un desiderio che gli nacque spontaneo, «un ulteriore sviluppo della mia passione per la musica da camera». La mamma aveva studiato direzione di coro nel Conservatorio di San Pietroburgo, si era diplomata assieme a Valery Gergiev, Semyon Bychkov e Mariss Jansons: una classe eccezionale, pensando alla carriera di questi tre giganti del podio. «Infatti mamma si propose subito come mia insegnante, ma io con altrettanta prontezza rifiutai categoricamente: avere la propria madre come insegnante? Figurarsi! Anche perché grazie all’attività come concertista ero diventato sodale di tanti grandi direttori; tra questi Jansons era anche un amico di famiglia, quindi andai subito da lui. Rifiutò, e alla mie insistenze mi spiegò che la direzione è una cosa complicata e necessita di un insegnamento costante, e lui non aveva abbastanza tempo per essere un maestro serio. Però mi disse che conosceva la figura perfetta per me».
È facile immaginare la reazione di Rachlin quando sentì pronunciare da Jansons proprio il nome di sua madre: «Mi venne un colpo! Ma se l’aveva detto Mariss non potevo ostinarmi a rifiutare; però dissi a mamma che lei mi avrebbe dato giusto un’infarinatura generale, avrei appreso le finezze dai direttori con cui lavoravo: Chailly ad esempio fu prodigo di consigli e venne anche ad ascoltarmi. Però lezione dopo lezione dovetti constatare che mamma era davvero brava e alla fine l’ho accettata come mia unica insegnante. Lo confesso: con estrema gioia».

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